mercoledì 31 ottobre 2007

emigranti e nostalgia






Fab, la mia figlia maggiore, l'emigrante, sta a New York da due anni e mezzo. A volte mi sembra pochissimo, a volte una vita. Ogni tanto mi dicono poverina, chissà che nostalgia con una figlia così lontana. Si certo, per lontana è lontana.
Non possiamo andare al cinema insieme, non posso comprarle una maglietta al mercato perchè sbaglio sempre la taglia e cambiarla diventa una grana, è vero, ma email-blog-flickr-skype non sono mica stati inventati per niente. E' più facile incontrarsi virtualmente sul PC che non incrociarsi quando si abita a trecento metri. Sulla mia pagina iGoogle mi sono pure piazzata il meteo di Torino e di New York, così sono costantemente aggiornata su temperature umidità e velocità del vento da qui e da là dell'oceano. Non che io sia una patita della metereologia, ma così, tanto per sapere. Quando ci scambiamo due parole su skype sappiamo già che dall'altra parte piove e abbiamo già visto le foto della sera prima. Come se abitassimo a due passi. Come se ci vedessimo tutti i momenti. Per dire, sabato sera ero a casa di amici, e Fab mi ha mandato un sms: ti ricordi il nome della band di Paul Weller? Pronti: Style Council. Grazie baci.
C'è una signora che probabilmente ha in mente la nostalgia dei primi emigranti, quelli che finivano in quarantena ad Ellis Island, mi chiede sempre notizie della mia bambina con la voce tremante e il ciglio umido e io temo che mi consideri arida e senza cuore perchè dal mio, di ciglio, non spuntano furtive lacrime. Non so come farle capire che non può venirmi da piangere per il nome degli Style Council.


questa ce la siamo fatta nelle toilettes del Waldorf Astoria. Avevamo letto sulla guida che c'erano perfino i caminetti accesi, e siamo andate a verificare di persona.

lunedì 29 ottobre 2007

Di una valorosa troupe partita da Torino per immortalare le gesta della maratoneta e di una maratoneta rimasta senza fotografie

















bisogna ammettere che siamo stati proprio faciloni a credere che la maratona a Venezia non fosse tanto diversa da una maratona in qualsiasi altra città. E invece è proprio tutto un altro paio di maniche. Per cominciare, si svolge praticamente tutta fuori Venezia, lungo la riviera del Brenta. Solo gli ultimi chilometri passano in in città. Sembra una cosa da niente, basta prendere la macchina oppure usare i mezzi pubblici, no? E invece no, i mezzi pubblici durante la corsa non circolano e le strade vengono chiuse al traffico. Così il sabato, tutti riuniti al tavolino di un caffè, si elabora una geniale strategia per arrivare alla partenza a Stra in tempo per filmare Erika.
Sveglia alle sei meno un quarto, alle sei vaporetto, poi bus fino al parcheggio, da lì si vola alla partenza, si filma e si ritorna veloci come la luce verso l'arrivo, per immortalare in prima fila e tutta tranquillità le ultime falcate della nostra eroina. Si si si semmmmmmmmmmmmmbra facile, diceva l'omino della pubblicità della moka.
L'indomani sveglia e vaporetto secondo le previsioni, poi i primi contrattempi. Passa un buon tre quarti d'ora prima che il bus decida di partire, e nel frattempo le strade vengono chiuse. Il bus ci lascia su un viale deserto e privo di cartelli, chiediamo lumi ai passanti ma ci dobbiamo arrendere: alle sette della domenica mattina a Mestre transitano soltanto stranieri. Alla fine misericordiosamente qualcuno ci dà la dritta giusta e finalmente raggiungiamo l'auto. Ci mettiamo in marcia ma veniamo subito fermati dai vigili. Spiacenti, ma di qui non si passa, potete provare con l'autostrada e poi stradine alternative, ma è un percorso tortuoso, vi perdete di sicuro. e poi è lungo, è troppo tardi, date retta: lasciate perdere. Decidiamo di provare lo stesso, hai visto mai. Per fortuna NON ci perdiamo, addirittura arriviamo un po' prima della partenza. Peccato che tra noi e gli atleti ci sia di mezzo il Brenta senza uno straccio di ponte per chilometri. Li vediamo lì a un passo e non possiamo raggiungerli, che nervoso. Va bè, filmiamo al di qua dell'acqua, speriamo che santo zoom ci dia una mano. Ci scappa anche qualche foto, non male per essere così distanti. Colpo di pistola, partiti. è sempre emozionante vedere il lungo serpentone che si dipana, sono ottomila persone mica bruscolini. Sedicimila gambe che corrono tutte insieme. Che bello.
la strada verso Venezia viaggia parallela al percorso di gara, andiamo di pari passo con gli atleti e li fotografiamo in un paio di passaggi. Poi loro continuano a correre mentre noi restiamo intrappolati tra strade chiuse e divieti di passaggio. E le lancette dell'orologio avanzano. Qualche giro vizioso, si deve tornare indietro. No, si va avanti. Il ponte è chiuso. No, è aperto. E' aperto, ma solo metà e bisogna aspettare che sia passata la carovana. E le lancette avanzano. Non possiamo andare avanti e non possiamo tornare indietro. Scommettiamo che perdiamo anche il treno per casa. Finalmente dopo minuti che sembrano secoli ci muoviamo, a passo di lumaca ma meglio che niente. Piazzale Roma. Il vaporetto! Telefonate di amici e amiche chiedono notizie dell'atleta. Già, chi lo sa, speriamo sia ancora in gara. Finalmente i Giardini, l'ARRIVO. Tutto transennato, e il passaggio è vietato ai turisti. ormai rassegnati, fotografiamo un po' di colore locale, gente che va e gente che viene. Tanta gente. Tranne Erika, che riappare quando noi stiamo già correndo a prendere il treno per Torino.


La nostra prode eroina all'arrivo della maratona.
Di Torino

Venezia - hotel Bauer Grundwald


doveroso aggiornamento per chi ha letto la storia del mio viaggio di nozze. Siamo capitati di nuovo sulle sue tracce e abbiamo potuto constatare che ha sempre cinque stelle ma si è cambiato nome: é diventato solo Bauer, il Grundwald è sparito. Non abbiamo avuto cuore di entrare, per paura che fosse troppo diverso da come ce lo ricordavamo.

venerdì 26 ottobre 2007

Andiamo a Venezia!


Che bello, siamo in partenza per Venezia.
Stavolta ci andiamo per seguire la maratona, al seguito di una cara amica atleta.
Sono molto contenta quando torno a Venezia, ho ricordi bellissimi.
La prima volta che i miei mi portarono, più di tutto il resto mi colpì l'enorme garage multipiano, ma dovevo avere quattro o cinque anni, sono giustificabile.
E assicuro che in seguito ho imparato ad apprezzare moltissimo anche tutto quello che c'è intorno a questo garage.
Parlavo di ricordi, e quello che più mi è caro è il mio viaggio di nozze. Con grande originalità noi siamo stati in viaggio di nozze a Venezia.

Quando ci siamo conosciuti avevamo diciotto anni ed andavamo ancora al liceo.
Poi c’è stata l’università, e poi la laurea, luglio 1971. Franco ha trovato lavoro, e a dicembre deve sostenere l’esame di stato. Prima lo scritto, e dopo un mese l’orale. Una rapida occhiata al calendario, e decidiamo: ci sposiamo subito dopo lo scritto, usiamo i quindici giorni di licenza matrimoniale per il viaggio di nozze e torniamo in tempo per l’ultimo ripasso prima degli orali. Partecipazioni, bomboniere, cerimonia, tutto combinato per benino. Arriva il giorno dello scritto, il 1° dicembre, e alla consegna degli elaborati la commissione comunica che quell’anno gli orali si terranno di lì a dieci giorni. Dieci giorni? ma non era un mese? Nossignore, quest’anno si cambia: dieci giorni.
Ma noi ci sposiamo il 5, il viaggio di nozze per noi è importante e non ci vogliamo rinunciare per niente al mondo. Facciamo in fretta a trovare la quadra: un vero viaggio non ci sta ma tre giorni a Venezia sì. Possiamo partire il 5 sera e tornare l’8 mattina. Il pomeriggio dell’8 e tutto il 9 c'è ancora tempo per ripassare per l’orale. Basta e avanza, deciso.
L’anno prima, sempre a dicembre, eravamo già andati a Venezia con una coppia di amici: pensione Winchester, l'ultima in ordine alfabetico e l’ultima in ordine di prezzi, ma stavolta è diverso, siamo in viaggio di nozze, vogliamo regalarci un vero albergo. Non un grand hotel, questo no, ma un albergo, un albergo decoroso. Camminiamo e vediamo una porta. Sembra quello che fa per noi: bello e sobrio. Entriamo? Entriamo. Dentro, l’albergo decoroso ci appare un po’ più che decoroso, anzi l’aggettivo più appropriato sarebbe lussuoso, è tutto un rutilare di marmi. O porca paletta, siamo entrati dall’ingresso fornitori dell'hotel Bauer Grundwald, un hotel a diecimila stelle. Ormai il patatrac è fatto, sembra che tutta la hall stia guardando verso di noi. Le mani cominciano a sudare e ce ne stiamo lì ingessati come due balenghi. Un’anima buona (il portiere? un cliente? non lo sapremo mai) capisce e ci viene incontro, ci chiede gentilmente i documenti e Franco gli spiega con grande dovizia di particolari che sulla mia carta di identità c'è un altro cognome perchè non c'è ancora stato tempo di aggiornarla, siamo appena sposati. Ricordo un sorriso paterno, qualcuno ha già preso in consegna la valigia: la camera è pronta, seguite pure il ragazzo. E noi in trance ci incamminiamo. In direzione delle cucine, al seguito di uno sguattero.

mercoledì 24 ottobre 2007

Alvar Aalto





Non ha certo bisogno delle mie parole. Che sia un vero gigante dell'architettura lo sanno perfino i sassi. Lo è a tal punto che a casa sua in Finlandia, hanno messo la sua immagine perfino sulle banconote.
Noi lo avevamo studiato sui libri, lo conoscevamo e lo ammiravamo, ma vedere le sue opere dal vivo, nel luogo e nell'ambiente per cui erano state progettate, è stata una vera emozione. Siamo andati anche a cercare la sua casa per le vacanze, una piccola casetta in mattoni. In realtà più che cercarla la scoprimmo per caso: sapevamo soltanto che doveva essere da quelle parti, c'era una cassetta per la posta con il nome: AALTO. Seguimmo il sentiero per un paio di chilometri dentro al bosco e ce la trovammo davanti all'improvviso. Intimiditi, non osavamo fotografare, e allora bussammo per chiedere il permesso. La moglie (era proprio lei, riconoscibilissima dalle fotografie) ci autorizzò, fece anche un abbozzo di conversazione commentando l'insistenza delle zanzare, e noi muti e rigidi come due baccalà. Avremmo potuto tirar fuori due parole, chiederle di entrare per vedere la casa all'interno. Niente. Paralizzati. Non me lo sono mai perdonato.
Qualche giorno fa ho passato allo scanner le vecchie foto, e mi è venuta una gran voglia di sostituirle con delle foto digitali. chissà, magari l'anno prossimo.







queste che seguono sono invece già foto digitali: una bella villa in Estonia, a Tartu, fotografata nel 2004.


Twiggy e i consigli di stile

C'era una volta Twiggy, modella giovanissima magra magra magra con due occhi grandi come lampioni. Anche io, che magra magra magra non lo sono stata mai, in gioventù l'ho imitata indossando abitini corti e neri con enormi polsi bianchi svolazzanti e tanti bottoncini e mettendo le ciglia finte a mazzetti, proprio come lei. ricordo ancora come faceva male levarsele alla sera, quelle ciglia finte. Oggi leggo che ha pubblicato un libro di consigli di bellezza e di stile per madame over 60, La Stampa di stamattina ce ne da conto, e io mi sono incuriosita. Consiglia: copritevi e lasciate che ad esporre pance e gambe al vento siano le ventenni, molto meglio attrezzate all'uopo; indossate gioielli piccoli e poco vistosi, ma costosissimi; portate capigliature di lunghezza media, niente chiome leonine; truccatevi discretamente e in maniera poco appariscente. Di primo acchito ho pensato che la cara Twiggy avesse scoperto l'acqua calda. Ma pensa tu che idea. Ma chi, tra le mie coetanee se ne potrebbe mai andare abbigliata e truccata come nemmeno una tredicenne? Poi sono uscita a comperare il pane, e ho incrociato una signora più o meno della mia età, lo so perchè sono decenni che la incontro. Portava una gonnellina bianca a balze di diversa lunghezza. Per dare l'idea: una serie di foulards legati insieme (non cuciti, solo legati) e sballonzolanti ad ogni passo per mostrare una gamba non precisamente affusolata, stivaletti bianchi in plastica lucida, giacchettina rosa da cui sbucava un bell'addome plissettato, e capigliatura alle reni, bicolore: platino con generosa riga nera alla radice. Ho capito allora che non bisogna mai dare niente per scontato. E ho capito anche che la vezzosa carampana biancovestita trarrebbe grande giovamento dalla lettura del libro di Twiggy. Anzi, quasi quasi glielo regalo.

martedì 23 ottobre 2007

Capo Nord











Capo Nord 1970, la canadese e la cinquecento. Questo fu il nostro primo vero viaggio.
non era l’AVVENTURA, questo no, ma non era nemmeno una cosa da tutti i giorni. Ci voleva un po’ di programmazione. ad esempio, sapendo che gli ultimi seicento chilometri erano su sterrato, ci eravamo procurati una seconda ruota di scorta, una congrua serie di pezzi di ricambio consigliati dal meccanico di fiducia, cacciavite e attrezzi vari. Avevamo previsto tutto. Tranne l’unico guaio che poi si verificò sul serio: la rottura di un cuscinetto. A Karigasniemi, un villaggio minuscolissimo della Finlandia, trecento chilometri sopra il circolo polare. Io, decisa ad arrivare alla meta a costo di andarci a piedi, convinsi Franco che avremmo trovato una soluzione. In paese c’era un tale che fungeva da meccanico e guidava l'ambulanza, andammo da lui. Non parlava altro che il finlandese, anzi, probabilmente un dialetto finlandese, non aveva mai visto una 500, ma ci fece capire a gesti che avrebbe prenotato per telefono il pezzo di ricambio, e ci offrì il suo prato per piantare la tenda.
Franco stette tutta la notte a macerarsi pensando che non sarebbe mai arrivato nessun cuscinetto e probabilmente si vedeva ostaggio per sempre delle steppe lapponi, invece io ero arcisicura che tutto si sarebbe risolto benissimo e avremmo raggiunto capo nord senza intoppi. Infatti la sera dopo con la corriera arriva il pezzo, e Seilonen, l’autista meccanico factotum ci fa capire che ce lo monterà, ma prima bisogna fare il fieno per le renne. Sta arrivando l'inverno e non bisogna perdere tempo, così ci offre due forconi e ci avviamo tutti quanti a lavorare. durante la notte, luminosissima, io preparo innumerevoli caffè per tutti, fino a che le scorte sono finite. nel frattempo facciamo conversazione. Giuro, facciamo veramente conversazione: lui riesce a spiegarci, in finlandese, che è originario della Lituania e ci chiarisce che cosa sono le frotte di animaletti che da giorni vediamo attraversarci la strada: sono i lemmig che attraversano tutta la Russia e vanno a suicidarsi nel mare del nord, come fanno d’abitudine ogni tot anni. Noi gli facciamo vedere, cartina alla mano, in che parte dell'Italia abitiamo, e all'alba, finito di raccogliere e accatastare il fieno, lui va alla macchina e ce la aggiusta in un'ora. gli lasciamo in regalo la moka, lui contraccambia con una guida della Lapponia, e ci salutiamo.




nel 1987 siamo tornati a Capo Nord con le figlie, mia madre e altri tre amici. Siamo andati a cercare Seilonen, senza crederci troppo a dire la verità. Invece lo abbiamo trovato. Era rimasto quasi uguale, piccolo asciutto e con pochi capelli, soltanto un po’ più rugoso. Tentavamo di farci capire ma lui proprio non aveva idea di chi fossimo, allora abbiamo preso un foglio, abbiamo disegnato un calendario con la data 1970 e una macchina. abbiamo indicato con una freccia la ruota che ci aveva riparato. Gli si accese in faccia una lampadina. Si ricordò. Ci abbracciammo.

lunedì 22 ottobre 2007

traslochi e trattorie



Marasma trasloco in casa dei ragazzi. Casse e casse di roba imballata, cucina ancora ben lungi dall'essere funzionante (forse perchè ancora nel negozio del venditore) pezzi di armadi in paziente attesa di montaggio. Le cose non sono dove pensi che siano e non hai la minima idea di quanto ci vorrà per tornare ad una vita decorosa. Momento difficile, e allora sabato da bravi genitori siamo andati a dare una mano.




La sera, affamati e sufficientemente provati dalla fatica, siamo capitati in una trattoria senza pretese ma gradevole, con belle volte in mattoni, dove siamo stati accolti da un buon profumino di tartufo e da un proprietario cordiale e camerieri gentili.
Due porzioni di antipasti misti: due tipi di frittate, torta di porri, carne cruda all'albese vitello tonnato, salame cotto e peperoni in bagna cauda, si sono mostrate ampiamente sufficienti per tutti e quattro. Come primo avevamo scelto due tajarin al tartufo e un piatto di agnolotti, sono arrivati due agnolotti e un piatto di tajarin. Abbiamo detto grazie, va bene lo stesso, e dopo due minuti il cuoco in persona ci ha portato (in omaggio) un piatto di tajarin al tartufo scusandosi per aver fatto confusione.
Dolcetto della casa, acqua minerale, quattro caffè. Il tartufo era vero tartufo, a lamelle, non una pomata al sapore di tartufo.
E' arrivato un conto di 37 euro. Trentasette Euro. In quattro. Nessun errore, su una lavagna c'erano i prezzi ben chiari. Quattro euro i primi, cinque euro i secondi. Roba da non credere.
Trattoria Marchesa, via Bernardino Galliari 25, l'isolato vicino al mercato di via Madama Cristina.
Ci torneremo.

venerdì 19 ottobre 2007

La Venaria Reale






















Vent'anni fa era in completo sfacelo. Una splendida reggia, a cui si erano ispirati gli architetti di Versailles (tutto vero, non millanto niente) ridotta a un rudere, il giardino un ammasso di rovi inestricabili. Dispiaceva vederla in quello stato, e pensavamo tutti che la sua fine sarebbe stata la demolizione. Poi cominciarono i restauri, ma nessuno ci faceva un gran conto. Sai come succede, si comincia con le migliori intenzioni poi i lavori vanno per le lunghe, i costi salgono, vedrai, sarà tutto inutile, non servirà a niente.
Sabato 13 ottobre la Reggia di Venaria Reale è stata riaperta. Splendida. Ci sono voluti otto anni e tanti soldi, ma io dico che sono soldi ben spesi.
Eravamo in tanti, torinesi e non, a far festa. Avevamo come guida una competentissima signora che ci ha spiegato in ogni dettaglio la storia della Venaria Reale e la storia della famiglia Savoia. Matrimoni combinati, alleanze politiche, e contemporaneamente la crescita della reggia, gli interventi successivi dei vari architetti, gente del calibro di Castellamonte e Alfieri, Garove e Juvarra, eh, mica bruscolini. Raccontava con grande partecipazione e le brillavano gli occhi, si vedeva che ne era orgogliosa. Come tutti noi.

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