martedì 9 aprile 2013

Don Carlo al Teatro Regio




Domenica  al Teatro Regio di Torino è andata in scena la prova generale del Don Carlo, che un'amica mi ha spiegato essere la versione italiana, in quattro atti,  del Don Carlos, un'opera  che  Giuseppe Verdi aveva composto  su un  libretto  che  Joseph Méry e Camille du Locle avevano tratto,  in lingua francese, dalla  omonima tragedia di Schiller. Dopo la prima rappresentazione del 1867 a Parigi, l'opera era stata  rimaneggiata più volte, tagliata e tradotta in italiano, titolo compreso. Nel 1884 era andata  in scena alla Scala

Copio l'argomento  dal sito del Teatro 
Spagna, verso il 1560.

Atto I

Il chiostro del Convento di San Giusto. Giunge Don Carlo, disperato; suo padre, Filippo II, ha sposato per motivi di Stato Elisabetta di Valois, la ragazza, della quale è innamorato e che inizialmente era stata promessa a lui. Lo raggiunge l’amico Rodrigo, il marchese di Posa: Don Carlo gli rivela di amare Elisabetta, la sua matrigna! Rodrigo lo invita a dimenticare il suo dolore partendo per le Fiandre e aiutando il popolo fiammingo oppresso dal potere del re. Nei giardini vicini al chiostro, le dame di corte attendono la regina, Elisabetta è triste, il marchese di Posa le consegna di nascosto un messaggio di Don Carlo. La regina, rimasta sola, riceve l’infante di Spagna che le dichiara appassionatamente tutto il suo amore e la abbraccia disperato. Don Carlo si allontana e il re, scorgendo la regina sola, rimprovera la sua dama di corte e le impone di tornare in Francia. La regina la consola e le dona un anello. Il re impone a Posa di rimanere per un colloquio, Filippo II è colpito dall’onestà e dal coraggio del marchese e lo invita a non fidarsi del grande inquisitore.

Atto II

Nei giardini della regina a Madrid Don Carlo sta aspettando Elisabetta: ha ricevuto un biglietto che gli dava appuntamento per mezzanotte. In realtà il biglietto è stato scritto dalla principessa Eboli, innamorata dell’infante, Eboli è velata e Don Carlo, credendola Elisabetta, le dichiara tutto il suo amore, Eboli capisce il terribile errore ed è pronta a svelare il segreto alla corte, Rodrigo minaccia di ucciderla, la donna si allontana giurando di vendicarsi. In una grande piazza di Valladolid gli eretici condannati dalla Santa Inquisizione stanno per salire sul rogo, una delegazione di deputati fiamminghi si inginocchia davanti al re per chiedere pace, ma lui li scaccia. Don Carlo sguaina la spada davanti al re minacciandolo, solo Posa ha il coraggio di disarmarlo, Filippo II lo nomina duca.

Atto III

Il re ha passato un’altra notte insonne, ha il potere ma non ha l’amore della moglie e del figlio. Il grande inquisitore chiede a Filippo la morte di Posa, il re cerca di opporsi ma il grande inquisitore lo minaccia. Entra Elisabetta sconvolta: le hanno rubato uno scrigno, Filippo II ha il cofanetto e lo apre: dentro c’è un ritratto di Don Carlo. La regina sviene, Eboli e Posa la soccorrono, poi Eboli confessa a Elisabetta di essere stata l’amante del re, la regina le impone di lasciare la corte. Don Carlo è stato imprigionato ma Posa lo rassicura, i documenti compromettenti sulla ribellione fiamminga sono stati trovati in suo possesso, perciò Carlo verrà scagionato. Un membro dell’Inquisizione spara a Rodrigo uccidendolo.

Atto IV

Elisabetta prega davanti alla tomba di Carlo V, giunge Don Carlo per un ultimo addio: partirà per le Fiandre. Arrivano Filippo II, il grande inquisitore e le guardie, ma un frate esce dai cancelli della tomba per proteggere e portare con sé Don Carlo: è Carlo V, tutti si inginocchiano.






















La scenografia ha lasciato il pubblico a bocca aperta ed è riuscita,  da sola,   a strappare l'applauso a scena aperta, gli interpreti  sono sembrati straordinari perfino a me che di lirica non capisco assolutamente nulla,  e il direttore d'orchestra ha ricevuto ovazioni da stadio.
Giovedi la prima,  ma Radio3 trasmetterà l'opera in diretta sabato 13 aprile, e non dite poi  che non vi avevo avvertiti.

Palazzo Madama.


Non si può dire che noi torinesi non facciamo le cose in grande dal momento che  in una piazza siamo riusciti a mettere ben due castelli: Palazzo Reale e Palazzo Madama. Con un guizzo di originalità subalpina,  l'abbiamo anche  chiamata piazza Castello, forse a beneficio di qualche  passante distratto.   Di Palazzo Reale parleremo in seguito, non appena avrò controllato che la mia scarsa memoria e le poche  reminiscenze  scolastiche non mi facciano dire troppe  asinate

Ora, dopo un breve e superficiale ripasso, ci occupiamo di Palazzo Madama. 

Ci tocca prenderla alla lontana: bisogna sapere che Torino, l'antica Iulia Augusta Taurinorum, era stata costruita   dai Romani  con l'impianto del castrum, l'accampamento militare  a scacchiera formato da maglie quadrate, come si vede  nella mappa 

che magari è un po' troppo schematica ma rende bene l'idea, posta sulla  Porta Palatina 


Le vie si incrociavano tutte rigidamente  ad angolo retto (in alto a destra l'unico elemento di disturbo diagonale, dovuto alla  Dora Riparia che passava proprio di  lì),   e Cardo e  Decumanus, perpendicolari tra loro,  costituivano le due arterie principali  alla cui  estremità si aprivano nelle mura   le quattro porte  della città: ai lati del cardo la Porta Sinistra, detta poi Porta Palatina, e la Porta Destra, detta anche Porta Marmorea per le decorazioni di pregio che la abbellivano. Ai lati del decumanus la Porta Praetoria e la Porta Segusina. La Porta Palatina della foto qua sopra è l'unica  rimasta in piedi e, detto per inciso,  i merli sulla torre di sinistra non sono per niente romani ma  sono stati aggiunti intorno al quattrocento. Non chiedetemi perché da una parte sola,  non lo so. 
Al  tempo delle invasioni barbariche le porte romane  vanno in rovina, e intorno alla fine del 1200 ai  resti della  Porta Praetoria, dalla parte che guarda la collina, Guglielmo VII marchese di Monferrato fa' addossare  una casa forte  munita di torri e un cammino di ronda 


che passa poi al suo vincitore Tommaso di Savoia. Più o meno un secolo dopo, Giacomo d'Acaja realizza un nuovo ampliamento e però sarà Lodovico d'Acaja a completare i lavori e  dare a questa parte di castello l'aspetto di fortezza medievale  che mostra oggi  sul lato  verso via Po. 
Maria Cristina di Francia,  la vedova di Vittorio Amedeo I detta Madama Reale, ci va ad abitare intorno alla metà del seicento,  naturalmente realizza ulteriori abbellimenti  e  il palazzo diventa per tutti Palazzo Madama, ma  sarà   la  seconda Madama Reale, Maria Giovanna  Battista di Savoia-Nemours  vedova di Carlo Emanuele II e madre di Vittorio Amedeo II, a far realizzare la splendida facciata verso Palazzo Reale, opera del genio di  Filippo Juvarra.  I lavori iniziano nel 1718 e si concludono nel giro di tre anni.  

  
Il 29 marzo del 1720 gli operai iniziano a costruire lo scalone, a partire dal primo gradino della rampa di destra
Marziano Bernardi,  grande critico d'arte, scrive 
le due possenti rampe dello scalone e l'immenso atrio sono il pieno trionfo
 di una fantasia  tanto fervida quanto misurata ed elegante...... 
Chi contempla lo scalone dal primo pianerottolo ... 
ha una visione di magnificenza e di armonia, di solennità e di grazia, 
di robustezza strutturale e di raffinatezza ornamentale quale è difficile 
trovare in Italia in altra architettura del medesimo periodo.
Per due volte il palazzo rischia la demolizione: ed è Napoleone in persona a  salvarlo  in extremis  la prima volta, respingendo la proposta del rivoluzionario  generale Menou di raderlo al suolo. Nel 1831 quel pazzo scatenato di Alessandro Antonelli vagheggia (pure lui) di buttare tutto giù e realizzare  una grande piazza vuota, da contornare poi di edifici neoclassici. Per  fortuna nessuno gli dà retta.





Parecchie sono le vicissitudini che il povero palazzo  ha dovuto attraversare dopo la morte di Madama Giovanna Battista: alla fine del settecento diventa sede del governo provvisorio francese e in seguito della corte d'appello napoleonica. Dopo la Restaurazione sul suo tetto viene impiantato l'Osservatorio Astronomico   che resta in piedi  fino al 1912.


Ospita la Pinacoteca della Galleria Sabauda fino al 1865, è sede del primo Senato Subalpino (ricostruito purtroppo solo temporaneamente, ed è un vero  peccato,  in occasione della mostra per i 150 anni dell'Unità d'Italia), 


poi fino al 1923 sede della Corte di Cassazione. Il  29 marzo 1849 Vittorio Emanuele nelle sue sale  presta  il giuramento  allo Statuto, e al proposito si racconta che un rosone di stucco di qualche chilo si staccò dal soffitto sfiorando appena la manica del re. Vittorio si guardò la manica e imperturbabile disse al ministro Menabrea che gli stava vicino "Ch'ai fasa nen atensiùn, i na vedruma bin d'autre" Non ci faccia caso, ne vedremo ben delle altre.....



Oggi ospita il Museo Civico di Arte Antica




ed il suo fiore all'occhiello è il magnifico  Ritratto Trivulzio di Antonello da Messina



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