giovedì 31 dicembre 2009

Buon anno a tutti!



finalmente dopo giorni di lotte estenuanti la mia malmostosa  connessione ha accettato una tregua e mi concede (forse)  di mandare tanti tanti ma proprio tanti cari  auguri a tutti.
Buon 2010 !!!!!

mercoledì 23 dicembre 2009

di corsa di corsa di corsa Buon Natale!!!


Ci mancavano anche le strade ghiacciate oggi, ma noi  non ci perdiamo d'animo, solo  un po' di affanno  in più ma  i pacchetti sono quasi pronti e Babbo Natale può cominciare il  giro.
Visto che difficilmente  riuscirò a tornare per tempo:
Buon Natale a tutti!!!!!


























martedì 22 dicembre 2009

I biscotti che regalerò io saranno i più belli di tutti



















Non vorrei alimentare false impressioni: in pasticceria sono una schiappa, non ricordo mai di pesare gli ingredienti, non ho pazienza, mi appunto diligentemente la ricetta e perdo immediatamente il foglietto, con la conseguenza inevitabile che  ogni volta mi   viene fuori una cosa diversa, l'unico comune denominatore è che quasi mai mi riesce quello che mi ero proposta di preparare. Per giunta mi sono pure  messa a frequentare  amici di pentola, reali o virtuali non importa, perchè  tutti sono  dotati di un  talento strabiliante, e dunque io mi sono sempre prudentemente  tenuta alla larga da sconsiderate illusioni biscottificatorie.
Poi nella mia vita è entrato Mustafa. Di poco più anziano delle mie figlie, appena arrivato in Italia, aveva suonato allo studio con una borsa piena  di fazzoletti di carta. Parlava un italiano ancora stentato, ma sufficiente per raccontarmi della  giovane moglie e dei tre bambini che lo aspettavano in Marocco. Comprai i fazzoletti e  cominciammo a fare amicizia.  La volta dopo gli comprai una tajina, poi un'altra e poi un'altra ancora. Ne parlai su vari forum che allora frequentavo, e  mi trasformai in spacciatrice di tajine fino a saturare il mercato.















Nel frattempo erano arrivati  in Italia anche la moglie, poco più che una ragazzina,  timida e con grandi occhi di un grigio così chiaro come non ne avevo mai visti, e i bambini. Portarono in regalo dei biscotti,



ed erano talmente belli e buoni che sembrava un delitto  non condividerli con gli amici.











Piacquero talmente  tanto  a tutti che organizzammo anche  una  lezione  per carpirne  i segreti.




















E' passato un po' di tempo da allora, la famiglia  ha ottenuto la cittadinanza italiana e io sono contenta  che siano corsi a comunicare la notizia a noi per primi.
Le mie amiche hanno  imparato a preparare dei biscotti di Natale  fantastici,  io no. Non avrei mai il coraggio di deludere tutti coloro che a Natale aspettano l'ambito sacchetto: per loro  la moglie di Mustafa  è un vero mito e con i miti non si può mica competere.
Potrebbe però essere l'ultimo anno: oggi insieme con  la fornitura regolamentare















è arrivata anche  la notizia che la famiglia sta crescendo e sono in arrivo due gemelli.
Il prossimo Natale:  Mulino Bianco per tutti.

Cooper Union



Ne ho accennato parlando di Daniel Libeskind, e ora vi racconto qualcosa  della  Cooper Union for the advancement of Science and Art di New York, fondazione privata fondata da Peter Cooper nel 1859  per garantire un'istruzione in campo scientifico gratuita a favore dei giovani indigenti.
Ingegnere, imprenditore e immobiliarista, inventore della famosa Tom Thumb, la prima locomotiva a vapore americana, realizzatore del primo sistema di comunicazioni telegrafiche transatlantiche, fu perfino inventore, insieme alla moglie Sara,  della gelatina  Jell-o,  con la geniale intuizione di mischiare la frutta alla gelatina chiarificata. Convinto sostenitore del principio  che l'istruzione dovrebbe essere gratuita come l'aria e l'acqua,  Cooper tentò anche di candidarsi   alle elezioni presidenziali del 1876, ma gli andò male.  Grande visionario e grande filantropo,  i  Newyorkesi  gli  tributarono  l'omaggio di un grande monumento nel Cooper Triangle sul lato nord di  Cooper Park, proprio di fronte alla prima sede della sua prestigiosa  Università, e per fare le cose per bene commissionarono l'opera ai migliori sulla piazza: lo scultore Augustus Saint-Gaudens per la statua e l'architetto Stanford White per il basamento in marmo e granito.




Il primo degli edifici di questa scuola  ancora brillantemente  attiva ai giorni nostri, fu  l'imponente  edificio in mattoni al numero 51 di  Astor Place, che è  considerato uno dei monumenti più importanti di tutta New York. Si trova  tra il Lower East Side l'East Village e NoHo, dove   una volta  avevano casa alcune tra le  famiglie più facoltose, dagli Astor ai Valderbilt ai Delano.  Per esser precisi è   all'incrocio, trafficatissimo,   tra Bowery, Third Street e Lafayette, a due passi da St. Mark's Place in cui per quasi vent'anni visse anche  il poeta W.H. Auden.

E' il primo edificio la cui struttura portante  è  stata realizzata con  travi in ferro e  dal momento che Peter Cooper era un grande ingegnere, la cosa non ci sorprende.  E' qui Abramo Lincoln tenne il  famoso discorso Might makes right, che tradotto in italiano suona    più o meno Il potere fa' il diritto. Qualcuno  lo dice, paro paro, anche ai nostri giorni, ma dubito che sia ispirato ai medesimi principi di  Lincoln il quale se non erro, con questo discorso intese condannare le politiche schiavistiche degli stati del sud assicurandosi la candidatura ufficiale del partito repubblicano. A differenza di quello che sarebbe successo a Cooper un paio di decenni dopo, Lincoln venne eletto  presidente degli Stati Uniti, e lo fu  fino al giorno in cui la sua strada non  incrociò  quella di John Wilkes Booth. Ma questa è un'altra storia




Per tornare a Peter Cooper ed alla sua  università,  questa è la nuovissima sede della Cooper Union, un progetto dell'arch. Thom Mayne dello studio Morphosis.  E' stata inaugurata il 15 settembre scorso e ospita la facoltà di ingegneria  e numerosi altri spazi dedicati alle facoltà di architettura e scienze sociali  nonché una galleria espositiva e un  auditorium.
Si tratta di un   esempio piuttosto interessante di architettura sostenibile, infatti  la sua struttura assicura un risparmio energetico pari al  40% grazie ad un  doppio rivestimento  in vetro e acciaio che permette di dosare la  luce solare e garantisce una  ventilazione naturale.
I pannelli perforati in acciaio  riducono  la propagazione del calore nei mesi estivi e isolano i locali  interni durante la stagione fredda.
L’atrio centrale è  a tutt’altezza, e questo  agevola  la circolazione dell’aria e rende possibile illuminare naturalmente  più del 75% degli spazi.


Purtroppo a luglio io ho potuto scannucciare solo dall'esterno  perchè l'edificio era ancora in fase di cantiere,  e l'ingresso ai cantieri è vietatissimo ai  i non addetti ai lavori. Sigh.


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giovedì 17 dicembre 2009

Judisches Museum Berlin



Daniel Libeskind nasce in Polonia, i suoi genitori sono scampati ai campi di sterminio nazisti, lui studia musica e vuole  diventare concertista. Invece si trasferisce con la famiglia a Tel Aviv, vince una borsa di studio dell’American-Israel Cultural Foundation Fellowship, grazie alla quale va a New York e frequenta la facoltà di architettura della Cooper Union for the Advancement of Science and Art, una università nata da una fondazione privata che permette agli studenti con minori possibilità economiche di studiare gratuitamente. (Molto interessante, ne parleremo ancora, prima o poi) Dopo la laurea e dietro consiglio di Peter Eisenman, Libeskind si specializza a Londra in Storia e Teoria dell'Architettura e comincia una carriera di docente universitario che lo porterà alla fine degli anni ottanta anche alla guida di un laboratorio no-profit di architettura sperimentale a Milano. il progetto del Museo ebraico di Berlino nasce intorno a quegli anni e si conclude con la sua inaugurazione più o meno un decennio dopo. E’ un edificio di fortissimo impatto: il rivestimento metallico riflette la luce del sole con lampi gelidi,  le sue aperture non sono finestre  ma  feritoie  che fanno pensare a colpi di rasoio inferti a casaccio. Non può lasciare indifferente neanche il più distratto dei passanti.




La foto qui sotto, che non è mia ma proviene dal sito ufficiale di Daniel Libeskind   permette di farsi un'idea della sagoma particolarissima di questo edificio, che ricorda i segmenti di un metro da muratore, aperti come per formare una saetta


Non è una forma casuale ma rappresenta l’intersezione delle linee tracciate sulla mappa di Berlino partendo dagli indirizzi delle case dei più importanti intellettuali ebrei. Quattro piani e una superficie di diecimila metri quadri ma nessun ingresso indipendente, al museo si arriva attraverso un tunnel sotterraneo che parte dall'edificio barocco adiacente. Lo spazio interno è tutto un incrociarsi di corridoi alti stretti e senza finestre a cui la  luce arriva soltanto dalle feritoie in alto e il pavimento su cui si cammina non è in piano. Si deve salire, sempre. Un corridoio porta allo spazio espositivo vero e proprio e mostra le foto, gli effetti personali, piccoli brandelli di vita di giovani ignari, di famiglie, di bambini sorridenti. E' forse la parte  più toccante di tutto il museo




















Il secondo percorso  parte da un muro nero e va alla Torre dell'Olocausto, un corpo altissimo a forma di triangolo acuto  con la luce che piove dall'alto. Si sale senza vedere  dove si sta andando e non si sentono rumori dall'esterno. Pareti e pavimento in cemento non hanno nessun tipo di coibentazione nè climatizzazione. Se fuori è freddo, lì dentro lo è ancora di più, se fuori fa caldo lì si soffoca. L'aria entra attraverso pochi fori su una parete,  richiamo lugubre a ben altre sinistre feritoie. Si arriva infine alla stanza del ricordo dell'olocausto, una stanza lunga e stretta il cui pavimento è ricoperto da una spessa coltre di facce, una diversa dall'altra ma tutte urlanti il medesimo orrore, sulle quali si deve per forza camminare producendo sul bronzo un clangore che dà i brividi.  E' certamente una sensazione forte, ma  non so fino a che punto apprezzare  questa scelta che mi ha fatto pensare piuttosto ad una ricerca di effetti speciali ad uso cinematografico. Personalmente sono convinta di aver ricevuto una botta di emozione  molto più significativa  guardando la normalità di quel mondo distrutto:  letterine di scolari, una borsa  elegante, la pezza di stoffa da cui  ritagliare la stella gialla da cucire ai vestiti. Cose normali  di persone normali,  che ti obbligano a chiederti se sia mai esistita una sola  ragione al mondo  per la quale  sia toccato a loro e non a te.  
Un terzo percorso porta all'esterno, verso il  Giardino dell'esilio, un  inquietante  piano inclinato che non è  soltanto orientato dall'alto verso il basso, ma anche da sinistra verso destra, scandito da  quarantanove colonne, ciascuna delle quali ospita in cima una pianta di ulivo a cui nessuno può arrivare.

Come si può vedere dalla foto qui sotto, scattata poco dopo l'inaugurazione, una volta lo si poteva percorrere liberamente  e il pavimento così inclinato provocava  immediatamente un leggero senso di nausea, come il mal di mare,  e difficoltà di orientamento. Il senso di  disagio era  notevole e forse per alcuni addirittura intollerabile, tanto che oggi   l'ingresso al giardino è stato impedito. 


Piccola postilla a proposito del pavimento inclinato:  io avevo sempre pensato che  si trattasse di  un'idea originale di Libeskind fino a che non sono andata a vedere al Castello di Rivoli la mostra su Gianni Colombo, dove ho scoperto che (cito pari pari dalle note della mostra


"Durante gli anni Settanta e Ottanta Colombo realizza spazi praticabili più complessi in cui, rispetto al passato, manca l’elemento elettronico. Nascono così le Bariestesie (1974-75) e le Topoestesie (1975-77), strutture elementari caratterizzate dall’uso di piani inclinati, archi, scale, colonne, assi e cilindri deformati, in cui la condizione di transito del visitatore è componente essenziale dell’opera."


 Ora,  dal momento che Libeskind è vissuto  a lungo a Milano proprio in quegli anni, ho fatto due più due e mi è sembrato giusto dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Gianni quel che è di Gianni (Colombo)

mercoledì 16 dicembre 2009

Il Monumento in memoria dell'Olocausto a Berlino


Il suo nome ufficiale è Monumento nazionale in memoria dell'Olocausto degli Ebrei europei, ed è stato inaugurato nel 2006, dopo una gestazione di quasi due decenni,  su progetto dell'americano Peter Eisenman ispirato alle tombe del cimitero ebraico di Praga. Sono più di duemila colonne grige, le più esterne basse come una tomba e poi sempre più alte  via via che ci si addentra nel labirinto. Non c'è  un fronte principale e non c'è un ingresso, e  le colonne sempre più alte  nascondono la vista di ciò che c'è intorno e contribuiscono ad alimentare il senso di  solitudine e di spaesamento di chi lo percorre.


E' stato un progetto controverso innanzi tutto per le sue dimensioni  enormi e per il costo elevatissimo,  ma anche  per la  collocazione su un'area edificabile a ridosso delle case,  non particolarmente significativa dal punto di vista storico se non per il fatto di esser stato un terreno di proprietà di quel Goebbels di cui già altrove abbiamo parlato,  Un altro motivo di controversia è stato l'affidamento della manutenzione  e  protezione delle pietre ad una compagnia  appartenente allo stesso gruppo della IG-Farben, famigerata  produttrice del gas usato nei campi di concentramento. Furono in molti a chiederne l'esclusione dai contratti, cosa che non avvenne con la giustificazione che tutta la nazione era coinvolta nel progetto e non sarebbe stato giusto estromettere  nessuna ditta. Sarà.
Io sarei più portata a credere che nessuno abbia voluto prendersi la briga  di pagare salatissime penali, ma la mia ovviamente è solo un'impressione.
A molti non piacque poi che il monumento  fosse dedicato soltanto ad una parte delle vittime dell'Olocausto, dimenticando  che tra loro ci furono anche  centinaia di migliaia di zingari,  omosessuali,  testimoni di Geova e anche disertori, per i quali a onor del vero sembra ci siano allo studio monumenti separati.  Onestamente devo dire che nemmeno io  capisco questa scelta  e anzi, trovo macabro sottolineare una differenza tra  vittime e vittime, come se non fossero tutti caduti per colpa della medesima  incommensurabile assurda insensatezza.















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