venerdì 30 marzo 2012

Stiamo lavorando per voi





Non avendo ancora deciso se considerarlo  un week end lungo o un  viaggio breve,  V.ed E. si trova alle prese con  una   montagna di foto da sistemare e una  caterva di nuovi argomenti in paziente attesa delle parole giuste  e per  interrompere un  silenzio che si stava allungando a dismisura,  con questo post  presenta un trailer di ciò  che seguirà.  
Forse. 
Compatibilmente con.
Insomma scusate il ritardo ma  stiamo lavorando per voi










giovedì 15 marzo 2012

Musée du Quai Branly



Una trentina di anni dopo   il  Centre Pompidou e a venti, anno più anno meno, dall'inaugurazione del  Musée d'Orsay, i parigini si sono regalati un altro  museo imperdibile,  il più importante spazio espositivo al mondo dedicato alle arti e alle civiltà primitive di  Africa, Asia, Oceania e delle Americhe,  il  Musée du Quai Branly
Progettato da una  star dell'architettura mondiale del calibro di  Jean Nouvel, che a Parigi aveva già firmato   l'Istituto del Mondo Arabo


 e la Fondazione Cartier per l'Arte Contemporanea




















Il  Musée du Quai Branly deve il suo nome alla strada lungo la rive gauche su cui sorge, ad un passo dalla Tour Eiffel. 























Riunisce le due importanti collezioni del Museo delle Arti d'Africa e Oceania e del Museo dell'Uomo a cui si sono aggiunte donazioni e acquisti fino a raggiungere la bellezza di circa 280.000 pezzi. 
Nouvel non ha voluto un unico grande edificio ma ha progettato un organismo complesso













formato da quattro corpi separati in cui ha sistemato uffici, sale di lettura, biblioteca e laboratori di restauro,  e li ha collegati con percorsi e passerelle. 


















Le sale espositive consistono  in pratica una unica grande galleria a doppia altezza 



























sospesa sul giardino,  sul   cui prospetto  a nord è stata  incastrata una sequenza di parallelepipedi  colorati che sembrano scatole, o  meglio ancora cassetti,  sfilati dal  corpo principale. All'esterno movimentano la facciata, e all'interno creano tanti piccoli spazi che  si insinuano nella  sala principale rompendo la monotonia che potrebbe dare  un unico grande stanzone. 





















 
















Coma aveva già fatto alla Fondazione Cartier, 



Nouvel tra la strada e l'edificio crea una sorta di area di decompressione, uno spazio verde protetto  per tutta la sua lunghezza da  una  vetrata serigrafata che si snoda con andamento ondulato per ben duecento metri ed è a sua volta   schermata da  una cortina di piante ed alberi lussureggianti. 


Il corpo destinato agli uffici è  l'unico dei quattro che si affaccia direttamente sulla strada, e si presenta come  un giardino verticale di 800 mq con 15.000 piante di 150 differenti specie provenienti da Giappone, Cina, Europa centrale e Stati Uniti.   Artefice  Patrick Blanc, botanico famoso per aver realizzato parecchi murs végétales.

.








P.S. Bellissimo impatto ed  effetto molto  suggestivo, ma  in fondo (molto molto in fondo)  anche  quest'altro muro vegetale fatto di edera  e vite canadese  non è poi malaccio........


giovedì 8 marzo 2012

Buon otto marzo, Veta!


Sul passaporto di mio padre avevano indicato  tutto l'itinerario che avremmo dovuto seguire, tappa per tappa, avevano  anche lasciato lo  spazio per  il timbro della  polizia che ogni sera ci avrebbe controllati. Durata del visto: un mese dalla data della comunicazione. E noi  abbiamo fatto la valigia di corsa  e il giorno di san Giuseppe del 1963   siamo partiti per la Romania, per  conoscere una nonna di cui avevamo solo sentito parlare e che mio padre non vedeva da quando aveva otto anni, trentadue anni prima  


Veta aveva diciassette o diciotto anni, era arrivata  da un piccolo paese vicino per stare a servizio da  questa mia nonna sconosciuta,  e per lasciare il  letto  a me si era sistemata un materasso per terra. Mi ero vergognata da morire ma non c'era stato niente da fare: Veta  era una tzerana, una contadina, e gli tzerani dormono  per terra. Punto.  Per tacitare la coscienza avevo cercato di regalarle  quasi tutto il mio bagaglio, compresa la camicetta a fiori, tale e quale quella di Jean Shrimpton,  che mi erta costata non so più quante settimane di prèt  (l'equivalente piemontese della  paghetta).  Lei però aveva accettato solo poche cianfrusaglie, e in cambio  mi aveva regalato anche un piccolo profumino. L'ho conservato per anni e da qualche parte sono sicura di averlo ancora. 

Nel  2008 sono tornata in Romania, ma di Veta  avevo soltanto una lettera confusa e nessun indirizzo, la  vecchia casa della nonna  era stata demolita da tempo e  nessuno si  ricordava di quella ragazza che era stata a servizio. Ritrovarla sembrava una pia illusione. Invece, grazie al cugino Mihail dalla pazienza inesauribile, la trovammo.  





















Abitava a La Frumoasa, che in romeno significa La Graziosa, un paese che  grazioso lo è  davvero, nonostante la mancanza di fognature e di strade asfaltate




Però di lunedi e di martedi si balla in discoteca, la gente va in giro in calesse  

e  i cancelli e le  recinzioni  in legno intagliato  sono dei veri  capolavori.  


 
Veta da anni si è ritirata  in questa  casettina tutta sua.




Per minuscola è minuscola e  bisogna abbassare la testa per non toccare il soffitto, naturalmente non ci sono servizi igienici e priva com'è di coibentazioni e isolanti  d'inverno si batteranno certamente  le brocchette,  però le  tendine fatte  all'uncinetto 



e una enorme quantità di fiori in giardino  me l'hanno fatta guardare   con gli occhi di Veta, e anch'io  ho visto  una reggia. 





martedì 6 marzo 2012

Come Vivo Acciaio - Piezz'e core ad Asti

Milton era un brutto: alto, scarno, curvo di spalle.... A ventidue anni, già aveva ai lati della bocca due forti pieghe amare, e la fronte profondamente incisa per l'abitudine di stare quasi di continuo aggrottato...... All'attivo aveva solamente gli occhi, tristi e ironici, duri e ansiosi, che la ragazza meno favorevole avrebbe giudicato più che notevoli.



Fulvia, sfollata da Torino, ha sedici anni, occhi nocciola con le pagliuzze dorate e un sacco di dischi americani.


Li presenta un amico comune, Giorgio Clerici. 
Giorgio Clerici è  bello, ricco e sicuro di sé, e nei pomeriggi  alla villa lui e  Fulvia  ballano insieme


mentre Milton cambia i dischi e si innamora, perdutamente come solo un adolescente si può innamorare. 
Arriva  il 1943, i due giovani si sono arruolati partigiani nelle  formazioni badogliane, Fulvia è ormai tornata a Torino e  Milton  incontra l'anziana custode della villa, 


che gli  rivela che  tra Fulvia e Giorgio c'era  più di un'amicizia. E'  una mazzata, la pugnalata alle spalle da parte  dell'amico più caro,   e allora guerra, resistenza, lotta partigiana,  tutto passa in secondo piano per  Milton, che viene preso dall'ossessione di  ritrovare Giorgio e   farsi dire finalmente   la verità. 


Non ci riuscirà: Giorgio è stato preso dai fascisti e   il  tentativo di  Milton di scambiarlo con un altro  prigioniero fallisce trascinandosi dietro   altro dolore e altri  lutti.


Questo a grandi linee Una Questione Privata,  romanzo postumo  di Beppe Fenoglio che ha dato lo spunto per una rivisitazione andata in scena al teatro Alfieri di Asti il 24 febbraio col titolo di Come Vivo Acciaio.

Un'ora e venti di spettacolo teso e coinvolgente  reso drammaturgicamente, diretto  e recitato da due giovani attori sui quali non posso per decenza sperticarmi nelle lodi che vorrei, trattandosi di  Andrea Bosca ed Elisa Galvagno

Precisazione doverosa:  mamma e sorella  si sono  occupate della registrazione video, le foto  sono state fatte da un  fotografo vero,  Diego Beltramo , (per questo sono molto più belle di quanto avrei mai potuto fare io) che mi  ha generosamente  autorizzata a saccheggiargliele

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