lunedì 24 settembre 2012

Stedelijk Museum ad Amsterdam

Qualche mese fa,  durante  un rapido blitz ad Amsterdam avevamo dato una sbirciata al cantiere del nuovo ampliamento dello Stedelijk Museum,  il più importante museo di arte moderna e contemporanea di Amsterdam, che accoglie  opere d'arte dal 1850 ai giorni nostri.  
Situato nella  Museum Plein, una grande area verde su cui si affacciano il Rijksmuseum da una parte

 
e il Concertgebow dall'altra,



lo Stedelijk, costruito in stile neorascimentale olandese intorno al 1895, aveva  subito nel tempo già svariate ristrutturazioni  per  problemi di spazio, tanto che nel 1973 tutto  il complesso delle opere di Vincent van Gogh e dei suoi contemporanei era stato spostato  nel vicino  museo van Gogh appositamente realizzato. 
Dal 1 gennaio 2004 infine   era rimasto in parte chiuso al pubblico per un lungo restauro che ha comportato il raddoppio delle superfici espositive.
Grazie ad una amica di facebook ho saputo che finalmente  ieri 23 settembre il museo ha riaperto i battenti, e leggo sul  Sole 24 ore 

Come ogni casa da ristrutturare, lo Stedelijk Museum ha messo a dura prova i suoi abitanti – i cittadini di Amsterdam – che da sempre lo vedono come un simbolo, lo frequentano sin da bambini, e per ben otto anni lo hanno invece trovato smantellato e chiuso. La sua riapertura .... è dunque un evento celebrato con grande intensità.......
Possedendo una collezione d'arte e design tra le più ricche del mondo, con oltre 90mila pezzi che vanno dal 1870 a oggi, lo Stedelijk aveva bisogno sia di allargare i suoi spazi espositivi sia di ripensarne il concetto. Ha fatto entrambe le cose in modo deciso. Anzi "progressive", progressista, come la direttrice Ann Goldstein ripete spesso: una parola-chiave che rende bene l'idea del bisogno che gli olandesi hanno di sentirsi al passo con i tempi........
....Per prima cosa perciò lo Stedelijk ha cambiato faccia: dopo aver approvato e poi ripudiato due progetti, dopo che la prima impresa di costruzioni è fallita a metà strada, l'operazione è ripartita con l'incarico allo studio di architettura Benthem Crouwel di Amsterdam, che ha deciso di aggiungere e collegare al palazzo storico, costruito nel 1895, un nuovo edificio ultramoderno di novemila metri quadrati, che si sommano ai diecimila già esistenti. L'intervento ha anche ha ribaltato l'affaccio del museo, che adesso si apre sul Museumplein, l'area che accoglie anche il Van Gogh Museum, il Rjiksmuseum e la Concertgebouw......
Il nuovo corpo dello Stedelijk è un gigantesco volume lungo cento metri e alto diciotto, fatto di Twaron, una fibra sintetica leggerissima che viene dall'aeronautica spaziale, e di fibra di carbonio Tenax. Il suo colore è lo stesso tono di bianco scelto nel 1938 dal curatore Willem Sandberg per rivoluzionare la fruizione del museo. Gli abitanti della città hanno subito ribattezzato questa struttura «la Vasca da Bagno» 


Non posso dire che la soluzione architettonica mi convinca del tutto, ma  quel che è certo è che - invidio  gli architetti olandesi che hanno una enorme libertà di sperimentare senza doversi necessariamente misurare con  pregiudizi e preconcetti che a casa nostra sono sempre dietro l'angolo non appena si tenta di uscire dal seminato.  



Due  passi  più in là, il bell'ampliamento, anno 1999, del van Gogh Museum ad opera di Kisho Kurokawa: intervento che, forse a causa dei miei personali pregiudizi e preconcetti,  mi sconfifera  molto di più.












giovedì 20 settembre 2012

Sulla via Francigena:- Abbazia della Novalesa: il museo e il laboratorio di restauro dei libri antichi

Dopo  la storia dell'Abbazia della Novalesa,  diciamo  due parole anche sulla sua architettura e sul museo.

La chiesa,



costruita nel secolo XVIII  sulle fondamenta di quella romanica preesistente e  dedicata ai santi Apostoli Pietro e Andrea, fu portata a termine solo nel 1715 con l'intervento dell’architetto regio Antonio Bertola. L’interno è  a una sola navata lunga una  quarantina di  metri.  





Frammenti della decorazione medioevale sono ancora ben visibili sulla parete sinistra del presbiterio


















E quella che io da lontano avevo stoltamente  preso per un allegro gioco di bambini si è  rivelato  essere in realtà la  lapidazione di santo Stefano. Mai fidarsi della prima impressione.  



Il Museo Archeologico, inaugurato nel 2009, 



raccoglie i reperti venuti alla luce  nel corso degli scavi archeologici  durante il restauro  





























e grazie a questi reperti  è possibile ripercorrere  la storia dell'edificio attraverso le sue strutture 































Nella sala di ingresso  una sorta di occhio aperto sul soffitto permette di apprezzare   gli affreschi  nascosti  alla vista dal nuovo solaio.


 

Nel  refettorio romanico, ricco di affreschi e di antichi utensili da cucina,  purtroppo è vietato fotografare e mi dispiace perché avrei voluto riprendere  almeno la grande  parete priva di figure e decorata soltanto  da un grande panneggio, scelta che la   guida mi ha spiegato essere stata  dettata non da motivazioni artistiche ma economiche. Spiego meglio: pare che all'epoca gli affreschi venissero pagati un tanto a figura e che per contenere i costi si usasse l'artificio di riempire la scena dipingendo drappi lini e drappeggi. Deduco che  monaci fossero  parecchio indigenti e che  il pittore fosse parecchio bravo,  perché nonostante l'assenza  di figure l'affresco è davvero  bello


Il Museo,   oltre ai reperti di scavo, presenta una sezione dedicata al restauro dei libri antichi e  raccoglie anche  il fac-simile in pergamena


(gli originali sono conservati all´Archivio di Stato di Torino) del Chronicon Novalicense, un rotolo  lungo più di 11 metri in cui uno sconosciuto monaco dell'abbazia nell'XI secolo ha scritto   la cronaca  del tempo mescolando con discreta disinvoltura fatti storici, come l'invasione dei saraceni,   con racconti di pura fantasia come la storia di Priscilla, una  nipote di Nerone convertita al Cristianesimo   la quale nel corso dei suoi pellegrinaggi avrebbe  visitato anche  l'Abbazia della Novalesa,  che noi  sappiamo con certezza esser stata fondata solo nel 726 dopo Cristo.

Dal percorso di visita purtroppo sono esclusi gli spazi privati  come il chiostro, (la  foto fatta da una finestrina mi è stata però autorizzata in via del tutto eccezionale)



ed il laboratorio di restauro dei libri  in cui  i monaci lavorano.
Intorno all'Abbazia si trovano poi quattro altri piccoli edifici:  la cappella del santissimo Salvatore, la cappella di san  Michele (conosciuta anche come cappella  di san Pietro), la cappella di  santa Maria e la cappella dei santi Eldrado e Nicola, la cui decorazione interna tutti dicono  splendida e benissimo conservata. Inutile dire che noi,  con la consueta lungimiranza che ci contraddistingue, siamo capitati alla Novalesa nell'unico periodo in cui le visite erano temporaneamente sospese.



Per chi volesse sapere qualcosa di più sul laboratorio di restauro  ho scovato  questo video (non mio) su Youtube


giovedì 13 settembre 2012

Sulla via Francigena - Abbazia della Novalesa: la storia






























Dopo la Sacra di san Michele e sant'Antonio di Ranverso,  Varie ed Eventuali  con deplorevolissimo e imperdonabile ritardo si è accorta di aver dimenticato di parlare di  una terza  Abbazia  situata sulla via Francigena a pochi chilometri da  Torino: l'Abbazia della Novalesa



E' un complesso   austero e ruvido che ha poco  in comune  con l'immagine  ricca e fastosa che di solito la parola Abbazia richiama alla mente, e la sua architettura  è  suggestiva proprio perchè  priva di orpelli, fatta di materiali poveri e decorata molto sobriamente. In poche parole, si capisce  che è stata pensata   per pregare e non per ostentare lusso.
Ha avuto una storia travagliata e interessante che vale la pena di conoscere, cercherò di riassumerla in poche parole.

In un’area situata a cavallo tra la val di Susa e la Maurienne


























al confine tra il regno dei Franchi e il regno Longobardo, nel 726 un certo Abbone, nobile franco, fonda un monastero e lo dedica ai santi Pietro e Andrea.
























Il colle del Moncenisio è un importante crocevia della via Francigena e i monaci mettono in piedi un ostello per pellegrini e viandanti, attività grazie alla quale ottengono donazioni e privilegi dai re carolingi. Nello stesso periodo i tre villaggi della valle: Venaus, Novalesa e Ferrera vengono accorpati in una unica unità su cui l’abate esercita piena giurisdizione non solo ecclesiastica ma anche civile.























All'epoca di Carlo Magno l'Abbazia conta più di cinquecento monaci che, oltre ad accogliere e ospitare i pellegrini, si occupano di trascrivere e miniare codici rari rendendo la Novalesa uno dei più importanti centri culturali del Medio Evo. Le cose vanno bene fino al 906, quando una spedizione di saraceni sbarcata in Europa dalle parti di Saint Tropez (precedendo di molto l'arrivo di Brigitte Bardot) si dirige a spron battuto proprio verso la Novalesa. L’abate Donniverto fiutando il pericolo chiude l’abbazia, raccoglie baracca burattini e codici della biblioteca, e si rifugia insieme con i monaci a Torino, in quella che secoli dopo diventerà la Chiesa della Consolata. I Saraceni trovano campo libero e saccheggiano, incendiano, e nei villaggi fanno fuori un discreto numero di quei poveretti che non hanno potuto tagliare la corda con i monaci, e che per postumo risarcimento verranno in seguito santificati e venerati come martiri. Dopo un certo numero di anni e varie vicissitudini il monastero viene riaperto, ma nel frattempo ha perso la sua indipendenza e si trova sottoposto alla potente abbazia di Breme. I rapporti tra le due comunità non sono esattamente rose e fiori e la Novalesa pur giurando regolarmente obbedienza all’abate di Breme, non vede l’ora di riprendersi la propria indipendenza. L’abbazia di Breme, stremata dalle devastazioni dei milanesi, è in crisi ma la Novalesa non se la passa molto meglio: i monaci sono pochi e la situazione economica, tra debiti, usurai e liti giudiziarie, precipita a tal punto che dopo alterne vicende il monastero viene dato in commenda, cioè la sua gestione viene affidata ad un commendatario il quale non è un monaco ma un laico, a cui è demandato l’incarico di amministrare le finanze delle abbazie, che novanta volte su cento gestisce l’incarico in maniera disinvolta e più che darsi da fare per l'abbazia, si dedica alla cura degli affaracci propri. E' facile arguire che in virtù dei suoi commendatari la Novalesa non si riprende proprio per niente tanto che nel 1638 conta la presenza di tre soli monaci e addirittura quando nel 1646 per risollevarne le sorti arriva un gruppo di Foglianti, monaci cistercensi dediti alla preghiera e al lavoro, nel monastero è rimasto soltanto un monaco, e per di più anziano. Tra la fine del 1700 e i primi anni del secolo XIX, grazie alla nuova strada che Napoleone fa' realizzare per collegare Susa e Lanslebourg e facilitare il transito delle truppe, il vecchio ostello viene ingrandito e la comunità della Novalesa ritorna a crescere e a godere di una certa prosperità.





























Ma nel 1855 una legge del Governo Sabaudo sopprime tutti i monasteri del Regno: i monaci vengono espulsi e gli edifici dell'Abbazia sono messi all’asta. Verranno adibiti prima a colonia idroterapica e poi a convitto, condannati ad un umiliante degrado che durerà fino agli anni settanta, quando la Provincia di Torino acquisisce la proprietà e la riconsegna nuovamente ai monaci.     (continua)





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