lunedì 30 maggio 2016

Dakar - Il Mercato Kermel

Il mercato Kermel è un bellissimo edificio risalente al 1860, distrutto da un incendio nel 1994 e ricostruito pari pari tre anni dopo. E' il mercato più bello e più turistico della città, ma questo non vuol dire che l'atmosfera non sia autenticamente africana.
Poco distante dalla centralissima  piazza Indipendenza,




E' un piccolo ed elegante edificio  coloniale  dai colori vivaci intorno a cui  camion e facchini scaricano le loro merci incessantemente in mezzo ad un frastuono indescrivibile.
Visto dall'esterno è molto affascinante, ma l'interno è  assolutamente spettacolare

















La qualità dei prodotti è mediamente più elevata del resto della città, e infatti  i prezzi sono un tantino più alti.  Frutta e verdure di tutti i generi sono disposte sui banchi in maniera coreografica, 

il  pesce è freschissimo e pulito con grande cura,













e tanti ma proprio tanti sono i banchi di macelleria  in cui addetti in camice bianco tagliano la carne in pezzi minutissimi













Una teiera bolle sul fornelletto da campeggio, quattro  uomini sorseggiano  una tazza di tè incuranti del via vai  mentre appena fuori dall'ingresso principale



sta parcheggiando  il camion del signor Amadori. Anche questa è globalizzazione.


sabato 28 maggio 2016

Car Rapide




Coperti di slogan islamici e con le foto degli Imam sul parabrezza, una quantità inverosimile  di Car Rapide



sciama ininterrottamente nel traffico di Dakar, la  porta posteriore  sempre aperta (anche quando viaggia) e  un paio di giovanotti appesi. Quando il minibus arriva alla fermata i due giovanotti  saltano giù  gridando il nome della via e la prossima fermata (almeno, questo è quello che mi sono immaginata)  Se ci sono più Rapides ferme allo stesso angolo le grida si incrociano e capire dove ci si trova e soprattutto dove si sta andando   può rappresentare  un problema.
Dal 1960 questi minibus colorati di giallo e blu  e personalizzati  con dipinti vivaci e  versetti del Corano  sono  la forma più comune e più economica  di  trasporto pubblico.


Originariamente li produceva una casa automobilistica francese, la Saviem – acronimo di Société anonyme de véhicules industriels et d’équipements mécaniques (Società anonima di veicoli industriali e attrezzature meccaniche) – ed avevano subito dimostrato di reggere bene anche sulle strade più dissestate. 
Da trentacinque anni la fabbrica, che è stata assorbita dalla Renault,  non ha più sfornato modelli nuovi, ma i Car Rapide continuano a svolgere il loro onorato servizio  grazie  al genio  di  meccanici e  carrozzieri capaci di donare l'immortalità a questi vetusti  carrettoni.


Qualcuno li chiama anche  22 places (22 posti) dal  numero teorico di posti disponibili,  che a occhio e croce viene regolarmente superato, o anche  S’en fout la mort (Chi se ne frega della morte), e se vedete come guidano gli autisti non vi chiederete il perchè.  
Da più di cinquant'anni il Car Rapide è parte integrante del panorama cittadino tanto da esserne diventato il simbolo,  e da qualche mese è addirittura assurto agli onori del Musée de l’Homme di Parigi entrando a far parte della sua collezione permanente. Ironia della sorte, contemporaneamente  il Car Rapide rischia  di sparire dalle strade di Dakar. Una legge infatti prevede di vietarne la circolazione a partire dal 2018 e con un progetto finanziato dalla Banca Mondiale  il governo sta aiutando i vecchi  proprietari ad acquistare bus nuovi di produzione cinese e indiana. Sarà certamente un passo avanti sulla strada del progresso, ma i Car Rapide di oggi rimarranno  la testimonianza inconfutabile del fatto che cavar sangue da una rapa qualche volta è possibile.


 

venerdì 27 maggio 2016

A Dakar



Il taxi è il mezzo più utilizzato e tutto sommato più veloce per muoversi a Dakar. Ce ne sono tantissimi, sono gialli come i taxi di New York   anche se un po' più sgarruppati, e come a New York girano in continuazione.





Basta mettersi sul bordo della strada e alzare il braccio,














in meno di un minuto sicuramente uno di loro si ferma e ti chiede dove devi andare. Il tassametro non esiste e l’errore più grosso che può fare l’ingenuo turista è salire a bordo senza aver prima contrattato, infatti il tassista spara sempre una cifra sconsiderata e bisogna essere ben preparati per fronteggiare l'attacco.  Di solito, se il passeggero è sufficientemente agguerrito e disposto a rischiare di essere lasciato a piedi (ma succede raramente, e in ogni caso un secondo taxi è sempre in arrivo), l’accordo si raggiunge abbastanza in fretta.
Come in tutte le grandi città, ma forse nelle città africane ancora di più, il traffico è caotico e rumoroso


































e   i tempi di percorrenza si allungano di parecchio, ma d'altra parte la puntualità qui non è considerata un imperativo categorico, e poi questa è  anche un'ottima  maniera per  osservare da una postazione privilegiata   tutto il baillamme colorato che si srotola  lungo la strada.



Infatti  sembra che  ogni singolo abitante abbia  qualcosa da vendere, e visto che soltanto  pochi possono disporre di un vero negozio, il commercio si può svolgere tranquillamente  sullo spartitraffico senza che nessuno trovi qualcosa da ridire.
  































Viaggiando per i quartieri ci si rende conto anche che gli artigiani non sono una razza estinta 


e si  capisce anche che, se non si vuole puzzare di gas di scarico,  è buona norma non portare  il bucato in certe lavanderie 

mercoledì 25 maggio 2016

Di nuovo in pista

Tra le curiosità parigine di cui Varie ed Eventuali aveva in mente di parlare prima della lunga pausa di riflessione c’era uno strano edificio a forma di pagoda, situato al numero 50 di Boulevard Voltaire, nell’11esimo arrondissement.



Era una sala da spettacolo progettata nel 1864 dall’architetto Charles Duval
sulla base del progetto per un autentico palazzo cinese dei nostri tempi
come aveva scritto all'epoca  l'autore

 


ed era stato battezzato Bataclan in omaggio a Jacques Offenbach che pochi anni prima aveva portato sulle scene Ba-Ta-Clan, un’operetta di ambientazione cinese.
Inaugurata l’anno dopo come sala da café concert, ospitava spesso anche spettacoli di vaudeville. Al primo piano si ballava.
Le cose erano andate bene per qualche tempo poi, un po’ per svariati passaggi di proprietà e un po’ perché il gusto del pubblico è volubile, il Bataclan ai primi del novecento è un locale con un passato luminoso ma con un futuro molto incerto.
Risorge nel 1910, grazie ad un accurato restauro ma soprattutto per merito delle piume e i lustrini delle riviste che mette in scena  José de Bérys,
 

















ed è proprio sul palcoscenico del Bataclan che Maurice Chevalier coglie i primi veri successi.















Nel 1926 si susseguono  un nuovo passaggio di proprietà e la trasformazione in cinema, poi negli anni trenta un incendio disastroso distrugge il tetto a pagoda.



Il locale continua a  vivacchiare senza infamia e senza lode fino a circa il millenovecentosettanta, quando l'ultimo proprietario decide di chiudere il cinema e la sala torna ad essere utilizzata come teatro.

Oggi il Bataclan ospita concerti e spettacoli, e da qualche anno è stato ridipinto con i colori originali anche se il fascino della vecchia fantasiosa pagoda è andato a fuoco nell’incendio del 1933.



Questo era tra le bozze in via di pubblicazione quando la sera del 13 novembre 2015 ci fu il terribile attentato,  e il coraggio di parlare di futili amenità venne meno. Sono passati parecchi mesi e sono successe tante altre cose, la maggior parte brutte. Ma il mondo va avanti lo stesso, e ci siamo resi conto che parlare di qualche futile amenità ogni tanto aiuta a non vedere del mondo soltanto il lato nero.

LinkWithin

Related Posts Widget for Blogs by LinkWithin