mercoledì 31 agosto 2011

La Sacra di San Michele - terza puntata

  Sacra di san Michele.  Terza  puntata




La porta dello Zodiaco con l'osservazione dei suoi fantastici capitelli ha permesso al povero viandante di riprendere un briciolo di energia, e meno male, dal momento che le scale non sono  ancora finite, 


quello che si para davanti  ora è un altro ripido  scalone in pietra verde,  sormontato da quattro archi rampanti. Non sono antichi,  li ha fatti costruire  intorno al 1930 l'architetto Alfredo D'Andrade per evitare che la Sacra, strutturalmente dissestata,  si aprisse   come una scatola rotta. Certe volte tocca fare di necessità virtù. 
Il terrazzo a cui si arriva invece risale ai primi anni del 1000, e conduce al portale romanico attraverso cui si accede finalmente!! alla chiesa vera e propria. 








Molto luminosa per le grandi finestre che si aprono sui lati,  la chiesa appare subito un miscuglio di stili e  l'abside, realizzato con  una volta a botte in mattoni di stile romanico,  è orientato nella direzione precisa  in cui sorge il sole il giorno di san Michele, 29 settembre. Le navate hanno volte a crociera e archi a sesto acuto di scuola gotica. 



Curiosamente  gli archi che si susseguono a scandire le navate  sono alternati: un arco  acuto ed un arco romanico.  Questa la spiegazione della guida, ascoltata  per caso mentre parlava ad un gruppo di turisti:  nella costruzione della chiesa operavano diverse squadre  di maestranze. ce n'erano  di cultura lombarda, e dunque gotica, e di tradizione romanica. Non andavano d'accordo e ciascuno spingeva per seguire  la propria tradizione costruttiva, fino a che l'Abate, stufo di sentire discussioni,  tagliando la testa al toro decretò: se ne farà uno per ciascuno.  


Capitelli a profusione, pare se ne contino 139 


e naturalmente, stupende opere d'arte, come il preziosissimo Trittico di Defendente Ferrari.


e il grande Affresco dell'Assunzione, un'opera dai colori bellissimi alta  più di sei metri







All'esterno  della Sacra, oltre a godere di un  panorama niente male sulla valle,  si possono ammirare le rovine del Monastero Nuovo, che  era stato costruito tra il XII e il XIV secolo. La piccola casetta in pietra risale alla fine del 1800, venne utilizzata dal genio Militare  come stazione per il telegrafo ottico (a quanto ho capito, una maniera di comunicare con emissioni di luce usando l'alfabeto morse)


Nella facciata ad Ovest del complesso sono stati alloggiati gli impianti dell'ascensore. Un lavorone  notevole e impegnativo realizzato con grande rispetto  dell'edificio. 









Il muraglione del Monastero Nuovo termina con una torre affacciata sulla vallata. E' la Torre detta  della Bella Alda, di cui alle elementari  mi hanno raccontato la leggenda almeno cento volte.  Pare che questa  bella Alda, giovinetta, fosse salita alla Sacra per pregare. Era tempo di  guerra e alla Sacra stazionava un manipolo di soldati. La ragazza è carina,  i soldati non sono dei milord, è facile capire che non ci mettono  nè A nè Ba a correrle dietro, e non certo per fare conversazione. Alda non ha molte alternative: o sottostare alle voglie innominabili dei soldati, o fare la Maria Goretti ante litteram. Sceglie la seconda opzione e si lancia nel burrone pregando Maria Vergine e san Michele.   Che la ascoltano, hanno pietà di lei e la fanno atterrare sana e salva. Incredibile! E infatti, tornata a casa, racconta la sua avventura  e non viene creduta.  Allora si  inalbera,  non accetta che si mettano in dubbio le sue parole e chiama a raccolta la gente: salirà  di nuovo sulla torre e si butterà  giù un'altra volta,  e gli increduli resteranno con un palmo di naso perchè ha i suoi santi in paradiso, lei!  
Ma stavolta Alda  non è in pericolo,  e i suoi  santi in paradiso non muovono un dito.  








martedì 30 agosto 2011

La Sacra di San Michele - seconda puntata


  Sacra di san Michele.  Seconda puntata.

Il piccolo rudere che accoglie i visitatori sulla camminata  verso la Sacra risale al X secolo ed è detto il Sepolcro dei Monaci. Probabilmente nessuno vi è mai stato sepolto, sembra  si trattasse invece  di una riproduzione del Santo Sepolcro, una sorta di Prossimamente di quanto i pellegrini avrebbero trovato a Gerusalemme. Integro fino alla metà del 1600, in pochi anni era caduto in rovina. Ora che è stato rimesso all'onor del mondo è veramente suggestivo.






Dopo una scarpinata di quasi un chilometro e una bella scalinata all'aperto si arriva finalmente all'entrata della Sacra vera e propria. E qui il  gioco si fa' duro, perchè la scalinata che vi siete appena fatti non è niente in confronto a quella che vi aspetta all'interno. (tranquilli, per  chi proprio 'gna fa ci sono gli  ascensori, basta chiedere alla biglietteria)


E' lo scalone detto Scalone dei Morti:  per non sprecare tutto quello spazio solo per  una scala infatti i monaci lo usavano per seppellire abati e ospiti  illustri



Lo avevano adornato anche con qualche  scheletro di monaco ma negli anni trenta qualcuno per fortuna si rende conto che la decorazione, più che dare solennità all'ambiente,  fa' sembrare  lo scalone una succursale del trenino fantasma del luna park, e gli scheletri vengono saggiamente  portati via.
Alla cima dello scalone si arriva col fiato grosso ma quello che aspetta il povero viandante ripaga di  tutta la fatica: è la porta dello Zodiaco, un'opera  di Mastro Nicolao,  scultore piacentino del 1100.  

La coreografia con cui la Sacra la presenta è, diciamo, molto understatement secondo lo stile piemontese, ma l'opera è sbalorditiva,  due stipiti su cui il Maestro ha scolpito da una parte i dodici segni zodiacali e dall'altra le costellazioni australi e boreali (questo l'ho dovuto andare a  leggere, da sola non ci sarei mai arrivata). 




I capitelli poi, pieni di richiami simbolici e di allegorie, sono uno più bello dell'altro














(continua)













lunedì 29 agosto 2011

La Sacra di San Michele - prima puntata




Raccontando qualche settimana fa del  Palio dij Cossot a proposito della  via Francigena  avevo scritto che i pellegrini che provenivano da ovest attraversavano le Alpi al Monginevro e al Moncenisio e si congiungevano alla via Francigena attraverso la strada già percorsa da Annibale con i suoi elefanti e dal manzoniano Adelchi, toccando l'Abbazia di Novalesa la Sacra di San Michele e l'Abbazia di sant'Antonio di Ranverso.
Sono tre monumenti significativi,  sono bellissimi e si trovano (tranne la Novalesa, che è appena un po' più distante) praticamente   a un tiro di schioppo da casa mia, fanno talmente parte  del mio panorama quotidiano che non mi accorgo quasi  più di averli intorno, a meno che non ci siano   amici lontani a cui fare da cicerone, ovviamente, perchè in  quel caso il mio campanilismo viene fuori tutto intero e l'orgoglio mi fa' gonfiare come un tacchino.
Cominciamo dalla star più fulgida di tutte e tre, la    Sacra di san Michele.   L'hanno costruita sulla sommità del monte Pirchiriano



 nel  gruppo del Rocciavré sulle   Alpi Cozie.  Pirchiriano da Porcarianus,  il monte dei Porci, mentre il  vicino  Musinè è invece il  monte degli Asini, e il Caprasio è il monte delle capre.  Mi chiedo come abbiano fatto  gli animali ad accordarsi "Un monte a te e  uno a me", resta il fatto che  di asini o capre  in libertà non  ne ho mai  incontrati  mentre non è per niente strano, sulla strada di casa mia,   incappare verso sera  in famigliole di  cinghiali che scendono a valle.   
Per la posizione strategica il luogo aveva fatto gola a molti già a partire dai Romani che  ne avevano fatto un castrum, un accampamento militare  sui cui resti la gente della valle, all'arrivo dei Longobardi,  costruirà poi  le  “Chiuse”, una serie di fortificazioni e torri. Nei secoli si avvicendano le guerre,  Desiderio e il figlio Adelchi  contro le truppe di  Carlo Magno,  poi  i Franchi vincitori alle  Chiuse saranno vinti a loro volta dai Saraceni. 
Intorno al secolo X si ha notizia di una comunità di eremiti a cui approda  un nobile dal passato oscuro. 

Era andato a Roma per chiedere indulgenza al Papa e ne aveva ricevuto un aut aut: o te ne vai in esilio o costruisci un'Abbazia. 
Il nobile, tale Ugo di Montboissier, ci ragiona un po' e decide che piuttosto dell'esilio è molto meglio accollarsi la costruzione di un'Abbazia. Chiama cinque monaci benedettini perché lo aiutino a trovare le maestranze ed inizia la realizzazione del monastero. 



I monaci richiamano  altri amici, e in breve il luogo è diventato  un importante  centro di sosta per pellegrini, si tratta di  gente ricca e colta e grazie a loro  l'Abbazia si afferma anche  come  notevole crocevia culturale. 
C'è poi tutta una storia di autonomie che i monaci riescono ad ottenere dalla chiesa  di Roma,  la Sacra estende la sua influenza in Italia ed in  Europa non soltanto in campo religioso ma anche e soprattutto in campo amministrativo e penale, e gode di un periodo di grande fermento vitale.  
Il malgoverno di alcuni abati porta però alla decadenza e  la Chiesa di Roma decide di sostituire l'Abate monaco con un abate commendatario,  uno che in pratica incamera  le rendite dell'abbazia ma si guarda bene dal metterci piede e se ne sta  a centinaia di chilometri di distanza. Le cose come è ovvio non possono che andare  a rotoli e  le rendite da arraffare si assottigliano sempre  più, così intorno al 1600, decennio più decennio meno, un cardinale di casa Savoia convince il Papa a sopprimere del tutto  il monastero. 
Passano due secoli, la Sacra sta andando in rovina completamente fino a che Carlo Alberto (santo subito!  solo per questa provvidenziale intuizione) pensa di affidarla a padre Antonio Rosmini,  fresco fondatore dell'Istituto della Carità.  Ordina anche di traslare dal Duomo di Torino le salme di una ventina di reali di casa Savoia, che ora infatti  si trovano tumulate nella cripta della basilica. 
E' l'inizio della rinascita e anche se non saranno sempre rose e fiori,  i padri rosminiani resteranno ad occuparsi della  Sacra anche dopo   le leggi che nel 1867 avevano sancito  l'incameramento dei beni ecclesiastici eliminando così anche  ogni possibilità di reperire fondi per la  manutenzione del monumento.  Non tutte le ciambelle escono col buco, direbbe qualcuno.  
Per fortuna si arriva al  1994, quando  la Regione  riconosce  con una legge speciale la Sacra di San Michele Monumento simbolo del   Piemonte, nuovi ingenti fondi vengono  reperiti  e le opere di restauro finalmente possono  partire concretamente.
(continua)






















domenica 28 agosto 2011

Il Museo Gianni Caproni a Trento


Ci sono posti in cui, lo ammetto, non mi verrebbe mai in mente di andare.  Uno di questi ad esempio era il Museo dell'Aeronautica Gianni Caproni. Fosse stato per me manco mi sarei accorta della sua esistenza, ma eravamo a Trento con mia sorella e mio cognato, lui aveva piacere di visitarlo, e pareva proprio brutto dirgli "Vacci da solo".   
Orbene,  sarà che  l'aeronautica il suo  fascino ce l'ha, c'è poco da dire, sarà che abbiamo incontrato una guida  che sapeva raccontare  senza ripetere la lezioncina a memoria,  il fatto è che alla fine del giro io    mi ero completamente ricreduta. E tra l'altro, avevo imparato una quantità di cose mooolto interessanti che mai e poi mai avrei potuto sapere altrove.  




Per cominciare, ho visto da vicino  i  velivoli su cui i primi pazzi visionari hanno avuto il coraggio  di salire


E ancor più  da vicino, ho visto minuscoli giocattolini con le ali di tela leggera, ma leggera davvero,   tenuti insieme da bulloni grossi come una puntina da disegno, con eliche di legno  e abitacoli completamente aperti dove il pilota si beccava per tutto il volo  gelo, vento  e grandi schizzi d'olio negli occhi. Ho capito che le languide sciarpone di seta avvolte intorno al collo, i giubboni foderati di pelliccia e gli occhialoni dei primi aviatori non erano un decadente  vezzo da  dandy e ho anche capito che per fortuna non tutti hanno lo stesso mio  atteggiamento nei confronti del pericolo perchè in questo caso  l'aeronautica  ne avrebbe fatta proprio  pochina, di strada.  









Tra le chicche più preziose del museo c'è lo SVA (dai nomi dei progettisti Umberto SAVOIA, Rodolfo VERDUZIO, e la fabbrica ANSALDO)  numero 11777 con le insegne del leone di Venezia, uno degli aerei  con cui nel 1918 Gabriele D'Annunzio aveva effettuato una celebre azione dimostrativa sui cieli di Vienna, scattando foto e  lanciando manifestini su cui  col suo solito stile sobrio e minimale aveva scritto 

....In questo mattino d’agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente incomincia l’anno della nostra piena potenza, l’ala tricolore vi apparisce all’improvviso come indizio del destino che si volge.....Come la nostra fede fu la più forte, ecco che la nostra volontà predomina. Predominerà sino alla fine. I combattenti vittoriosi del Piave, i combattenti vittoriosi della Marna lo sentono, lo sanno, con una ebrezza che moltiplica l’impeto. Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo. Il rombo della giovine ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino. Tuttavia la lieta audacia sospende fra Santo Stefano e il Graben una sentenza non revocabile, o Viennesi. Viva l’Italia.....



















la foto proviene da  qui

Per dovere di cronaca: la squadriglia era composta da otto aerei monoposto più il biposto del Vate. Va detto infatti che D'Annunzio non sapeva volare ed aveva dovuto ricorrere alla bravura di Natale Palli, un pilota di  ventitre anni  la cui parabola si sarebbe chiusa tragicamente soltanto pochi mesi dopo quando, partito per un volo di allenamento alla volta di Parigi, fu costretto ad un atterraggio di fortuna a più di tremila metri di altezza.  L'atterraggio era riuscito  perfettamente, ma Palli vagò  per tre giorni tra i ghiacci e morì appena prima di arrivare in prossimità di un centro abitato. 






Questo è un altro aereo dalla storia interessante. Si tratta di un  Savoia-Marchetti S.M.79 conosciuto come  Sparviero, un trimotore fatto in legno tela e metallo  inizialmente progettato come aereo da trasporto civile,  che negli anni 1937-39 aveva stabilito una caterva di record.  Convertito in bombardiere grazie all'arma   montata sull'abitacolo sporgente e rivolta all'indietro, cosa che  che impediva di attaccarlo dalla coda,    era stato soprannominato dagli aviatori della RAF   Gobbo maledetto,  Damned Hunchback
Era sì un grande bombardiere, ma durante la seconda guerra mondiale si era dimostrato purtroppo anche troppo lento in rapporto agli aerei nemici, e così si decise di impiegarlo come aerosilurante, campo in cui effettivamente ottenne ottimi risultati.



Lo Sparviero, o Gobbo che sia, colpisce le navi nemiche e le affonda. Il problema è che  novanta su cento viene poi abbattuto dalla contraerea nemica e l'equipaggio ci lascia la pelle.  L'Aeronautica allora promette che l'equipaggio che riuscirà ad abbattere una nave nemica e contemporaneamente, portare a casa la ghirba, anche nel  caso l'aereo venga abbattuto riceverà la medaglia d'oro al valor militare. Sembra impossibile ma succede davvero: nel 1942 un aereo affonda il  cacciatorpediniere inglese Bedouin, viene abbattuto, ma l'equipaggio riesce a tornare a casa sano e salvo.  Medaglia d'oro? Nossignore, soltanto medaglia d'argento.  Una nave italiana in azione sullo stesso luogo  aveva sparato contemporaneamente all'aereo,   aveva  colpito il bersaglio, creduto in buona fede  di avere il merito dell'affondamento,  e ricevuto  la medaglia d'oro. 
Le prove fotografiche dell'affondamento  si trovano  sull'aereo  in fondo al mare  e l'equipaggio deve accettare  la beffa. 
Alla fine della guerra, però, il tenente Aichner (non ho preso appunti e mi scuso se  ho storpiato il nome) va in Inghilterra alla ricerca di qualche reduce del cacciatorpediniere. Incredibilmente riesce a trovarne un paio  e  chiede loro una dichiarazione  giurata che possa  testimoniare come sono andate realmente le cose. La cosa ancora più incredibile è che  la ottiene!   Ma  la più incredibile di tutte è che alla fine l'equipaggio viene realmente insignito della medaglia d'oro al valor militare.

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