mercoledì 14 novembre 2018

Paul Bocuse

Paul Bocuse, 


nato nel 1926 a pochi chilometri da Lione, è morto poco prima di compiere 92 anni. Discendente da una famiglia di ristoratori, a 16 anni è già al lavoro nella cucina di un grande ristorante. Con lo scoppio della guerra parte volontario, viene ferito e gli americani lo portano a curarsi negli Stati Uniti. Tornato a Lione, viene accolto sotto l’ala di Eugénie Brazier. Scuola con fiocchi e controfiocchi quella della Mère Brazier, la prima persona ad ottenere 3 stelle Michelin addirittura in due ristoranti contemporaneamente, e Bocuse impara. Passa poi ad un leggendario locale di Parigi, e a ventiquattro anni è nuovamente dalle parti di Lione, alla Pyramide di Vienne dove opera un altro gigante come il maestro Fernand Point. A venticinque anni è MOF (Meilleur Ouvrier de France) e ottiene la prima stella Michelin. L’anno dopo riceverà la seconda e nel 1965 la terza, che mantiene, unico al mondo, per più di cinquant’anni. Nel 1975 riceve la Legione d’Onore, nel 1989 la Guida Gault e Millau nomina Bocuse “Cuoco del Secolo”, riconoscimento che gli arriverà due decenni dopo anche da Culinary Institute of America. Durante questi anni viaggia un po’ dappertutto, presta consulenze in Giappone e negli Stati Uniti, ma trova anche il tempo di aprire a Lione ben nove tra ristoranti, una famosa scuola di cucina (la foto non è mia ma viene dalla loro home page)

 e bistrot dove anche chi non è Paperon de' Paperoni può permettersi una salade lyonnaise o una soupe a l'oignon   
 Era stato tra i fondatori della Nouvelle Cuisine che auspicava più leggerezza e meno grassi, ma in realtà con panna e burro Bocuse è sempre andato giù pesante.
A chi lo criticava per questa sorta di tradimento rispondeva con una frase diventata celebre: «Per me non esiste che una sola cucina: quella buona». Ho letto da qualche parte che una volta avrebbe ammesso che «L’egemonia della cucina francese durerà fino a che i cuochi italiani non si renderanno conto del patrimonio enorme su cui sono seduti», ma chi lo sa se l’ha detto davvero




E' probabilmente lo chef più famoso del mondo, ma quel che è certo e indubitabile è che è stato anche un grande imprenditore della ristorazione e per questo i suoi concittadini lo celebrano e lo riveriscono come un  santo protettore. Lo hanno immortalato  sulla fresque des Lyonnais  ,  che altro non è se non  la facciata cieca di un brutto edificio che i Lionesi hanno saputo trasformare in  attrazione turistica

  dipingendoci sopra il ritratto di  tutti i cittadini illustri,


un Paul Bocuse in scala 1:1,   con  grembiule e toque blanche (è sempre ritratto con toque blanche e grembiule, e viene da chiedersi se lo riconosceremmo  vestito in qualche altra maniera)  accoglie i viaggiatori all'entrata dell'Ufficio del Turismo




































Bocuse sorride con  aria sorniona sul  murale (è singolare, ho controllato sul sito dell'Accademia della Crusca)    
che sta di fronte alle Halles de Lyon Paul Bocuse 


che sono una specie di Eataly, ma  ancora più sciccosa ed esclusiva 

tanti piccoli Bocuse di terraglia occhieggiano anche  nelle vetrine di souvenir


non sono proprio sciccosi ed esclusivi, ma questo  è il destino dei grandi. Bocuse è in buona compagnia

martedì 16 ottobre 2018

Graffitari d'antan

Fascinosa, seducente, incantevole,  Place des Vosges è a buona ragione uno dei luoghi più gettonati di Parigi

sarà per la compattezza elegante dei suoi edifici, sarà la simmetria rigorosa del  giardino, sarà perchè c'è la casa di Victor Hugo,

che tra l'altro si può pure visitare gratis, o  per le tante gallerie d'arte 



o  i suoi caffè, 

fatto sta che nessuno lascia  Parigi senza aver dato almeno  un'occhiata a Place des Vosges

MA

pochi  notano che sul lato esterno del pilastro posto  tra i numeri 11 e 13 qualcuno ha sentito il bisogno impellente di lasciare ai posteri un cenno del suo passaggio.  La scritta è  parecchio malandata e per vederla  bisogna proprio cercarla col lanternino, ma non pensate a frasi tipo Ciccio Ama Ciccia o robe del genere,  riporta soltanto  un numero: 1764 e un nome:  NICOLAS. 




Risale veramente  al 1764, ed è opera di tale Nicolas-Edme Restif de la Bretonne. Costui è  un tipo eccentrico  nato in un piccolo villaggio di provincia ed  approdato   a Parigi a venticinque anni. Lavora come tipografo e  scrive storie erotiche ispirate alle sue avventure ma  soprattutto ama fare passeggiate notturne e nel frattempo  incidere i muri della città. Ogni notte si  arma di cacciaviti o cosa caspita  si usava all'epoca, e si trasforma in graffitaro. Nel 1780 scrive anche  un diario che  intitola, guarda un po',  "Le mie iscrizioni"  in cui racconta aver  inciso sulle pareti della città centinaia di graffiti destinati a rivelare al mondo il suo amore per la figlia della sua padrona di casa (a giudicare da quante notti gli ci sono volute probabilmente è stato  un amore non corrisposto), ma anche pensieri e stati d'animo del momento, tutti diligentemente siglati con data e firma.  Purtroppo tutte queste centinaia di  incisioni disseminate  tra Halles, Marais, Île de la Cité e Île Saint-Louis sono scomparse e  "1764 NICOLAS" è rimasta  sola. Però  può a ragione  vantarsi di essere il più antico graffito di Parigi.

sabato 13 ottobre 2018

L'Università di Dakar

Avere una figlia emigrante mi ha permesso di guardare  le città  in cui lei è stata con un occhio   diverso. Non mi illudo di averle  davvero conosciute e capite, ma di sicuro ho visto posti, incontrato gente e  fatto cose che nessuno andrebbe a proporre ad un turista. 
A Dakar, per dirne una, ho passato un paio d'ore molto piacevoli e istruttive a  passeggio  nel campus universitario, dove ho scoperto che l'Università Cheikh Anta Diop (dal nome di uno  storico e antropologo senegalese)    nasce da diverse istituzioni francesi risalenti ancora al periodo coloniale.














Nel 1918 i francesi istituiscono  l'école africaine de médecine, destinata all'inizio principalmente a  studenti bianchi e  alla piccola élite di senegalesi di classe elevata. Negli anni trenta  Dakar diventa la sede dell'Institut Fondamental d'Afrique Noire (IFAN), un istituto per lo studio della cultura africana, istituto  che con la decolonizzazione degli anni 50 viene ampliato con l'aggiunta di facoltà scientifiche, riunite tutte nell'Institut des Hautes Etudes de Dakar. 















Nel 1957 viene realizzato il  nuovo campus che diventa la  18esima Università pubblica francese ed é  collegata all'Università di Parigi e a quella  di Bordeaux, e questo la  rende l'università  più grande e prestigiosa di tutta l'Africa occidentale. 



























All'epoca dell'indipendenza, anno 1960,  conta circa mille studenti, dei quali meno del 40%  sono senegalesi, nel 1976 gli studenti sono già  più di ottomila, e nel 2000 escono da questa università ben novemila giovani laureati.  Attualmente è  collegata con università europee e statunitensi e prevede corsi per studenti stranieri in studi senegalesi e africani, tra cui letteratura africana, storia, politica, filosofia e sociologia.  Tra l'altro, non sapevo e la cosa  mi ha molto colpita:  in Senegal l’Italiano è materia curricolare  e viene insegnato come seconda lingua straniera  opzionale nelle scuole medie e nei licei tanto che oggi sono  più di  430 gli universitari che studiano la nostra lingua.




Come ogni campus che si rispetti, ci sono anche i dormitori per studenti e professori, belle costruzioni bianche con le persiane azzurre che contano  cinquemila posti letto, ancora troppo pochi per soddisfare tutte le richieste.

















e piccole botteghe dove comprare cibo pronto, fare fotocopie o farsi tagliare i capelli


I ragazzi vanno e vengono come in qualsiasi università del mondo,  sono diversi soltanto  i vestiti delle ragazze che non portano i jeans, ma tutte danno l'impressione di vestire indifferentemente sia jeans che  abito tradizionale, e sono tutte molto belle, eleganti  e statuarie come solo una donna africana  riesce ad essere, nessuna sembra mostrare subalternità o sottomissione rispetto ai colleghi maschi.  Avrei voluto chiedere ad ognuna di loro di lasciarsi fotografare, purtroppo  non ne ho avuto il coraggio  e me ne sono pentita subito.
















Le matricole  arrivano  non solo da tutta l'Africa ma anche dalla  Francia, Belgio, Nord America, Libano, Inghilterra, e vengono accolte  amichevolmente  da una moltitudine di striscioni di benvenuto.


























La biblioteca è  nuova di zecca, con un grande atrio coperto dove ripararsi dal sole,  e ampie vetrate





























non è niente male e   potrebbe fare la sua degna figura su una  qualsiasi rivista di architettura 

(a parte questo  trascurabile dettaglio)











venerdì 12 ottobre 2018

Au Bon Marché

Anche chi a casa propria si farebbe tagliare un braccio pittosto di varcare la soglia di una Upim qualsiasi, a Parigi cede al richiamo di uno dei suoi fascinosi   Grandi Magazzini . A onor del vero va detto che da parte sua  Parigi ce la mette tutta perchè non passino inosservati,


e li agghinda  con superba opulenza  a seconda del calendario





Sono tutti situati sulla  riva destra tranne il più prestigioso, il più chic, il più elegante, il più raffinato  di tutti: il Bon Marché,

Nato nella prima metà dell'ottocento come  semplice merceria  all'angolo tra rue de Sèvres e rue du Bac,  per opera dei fratelli  Videau, vendeva  tessuti, accessori per cucire, ombrelli e biancheria da letto. 
Nel 1852 i fratelli danno vita ad una società con il loro impiegato  Aristide Boucicaut e  la  di lui moglie, e saranno proprio  loro ad imprimere la svolta che farà fare il salto di qualità alla  merceria, trasformandola in un moderno   grande magazzino, il primo di Francia e probabilmente anche d'Europa. Sui capi  compare l'etichetta con il prezzo,   il margine di guadagno è basso  però le vendite aumentano considerevolmente e il magazzino inaugura la formula soddisfatti o rimborsati. In breve, la coppia Boucicaut ha capito  che non basta vendere, bisogna instillare nella gente  il desiderio di acquistare. 


In poche parole, stanno  inventando il consumismo.  Nel 1869 il  Bon Marché è  una solida realtà, i Boucicaut sono  soli al comando e danno  corpo ad idee ancora più innovative ed ambiziose per sviluppare le vendite. Creano i saldi, le settimane del bianco, le vendite su catalogo.  Certamente l'idea più visionaria di tutte ce  l'ha Marguerite Boucicaut, che avvia il progetto del  Lutétia Hotel, 



un albergo di super lusso destinato ad accogliere i clienti stranieri. 


Sarà inaugurato nel 1910, purtroppo soltanto dopo la morte della coppia. Altro purtroppo, ma questo riguarda soltanto me, quando ci sono passata davanti era in fase di ristrutturazione e non ho potuto ammirare altro che il telone di protezione. Ora leggo che è stato finalmente riaperto e che  il restauro è superlativo,  ma io non ho più molte occasioni di tornare a Parigi per cui il ricordo resterà legato soltanto al telo e va là.
      

Ma per tornare al Bon Marché, due parole vanno spese anche per ricordare  che i coniugi Boucicaut hanno avuto lungimiranza anche rispetto al  trattamento dei dipendenti, che nel lontano 1877 erano  1788 e potevano già contare sul riposo settimanale retribuito,  fondo di previdenza e fondo pensione, oltre ad avere a disposizione la mensa gratuita.    Dati i tempi di trattava di una grossa   rivoluzione sociale, infatti le  prime leggi sull'istituzione del riposo settimanale in Francia risalgono solo al 1906.
Ignoro  quale sia il trattamento dei dipendenti oggi, ma  forse è meglio così.
 



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