martedì 30 dicembre 2008

I portici di Torino

Non è l'unica città ad avere dei portici, questo è sicuro, però credo che Torino sia l'unica al mondo a vantare qualcosa come diciotto chilometri di portici coperti. I primi furono realizzati addirittura nel Medio Evo in quella che attualmente è piazza Palazzo di Città, ma è all'inizio del seicento che il portico diventa un elemento urbanistico significativo della città, con la costruzione di piazza Castello ad opera di Ascanio Vitozzi. Arriveranno poi intorno alla metà del seicento i portici di piazza san Carlo del Castellamonte, e poi quelli dei quartieri di Porta Susina e nella piazzetta del mercato di Porta Palazzo da parte di Filippo Juvarra; a metà del settecento Benedetto Alfieri realizzerà il progetto dei nuovi portici su piazza Palazzo di Città, così come li vediamo oggi. Ai primi decenni dell'800 risalgono invece i portici di Piazza Vittorio Veneto, e negli anni immediatamente a ridosso dell'unità d'Italia quelli di Piazza Statuto. Monumentali o sobriamente austeri, ne abbiamo per tutti i gusti: lastricati in pietra, rivestiti in marmo, alcuni con bei pavimenti in seminato e altri con i soffitti in legno a cassettoni. Diciotto chilometri vogliono dire una bella passeggiata lunga almeno ventimila passi, di cui noi approfittiamo subdolamente per stupire gli amici stranieri che conoscono Torino soltanto come la città della Fiat o della Juve, e che per questo motivo immaginano una città grigia e incolore fatta di lugubri capannoni e uno stadio di calcio. Li accompagnamo a spasso, ci godiamo la loro espressione piacevolmente sorpresa, e concludiamo la passeggiata facendo notare loro che da piazza Castello al fiume i portici della via Po sul lato sinistro proseguono anche nell'attraversamento delle strade: era il lato su cui transitava la famiglia reale, che non poteva certo rischiare di prendere la pioggia. Sull'altro lato invece passeggiavano i cittadini comuni per i quali notoriamente non è il caso di star tanto a preoccuparsi, e infatti da quella parte, quando si deve attraversare la strada, ci si bagna la testa.

lunedì 29 dicembre 2008

OOOOOOOOOOOOH

come foto non è un granchè ma l'ho eletta immagine simbolo del nostro Natale di famiglia 2008. E' stata una festa un po' più triste e un po' meno rutilante delle precedenti, ma pazienza. Se l'apertura di un pacchetto riesce ancora a sorprenderci così tanto, significa che la magia del Natale non è del tutto svanita.

Ghiaccio


ghiaccio 2
Inserito originariamente da DEDE_LE
bellissimi ghirigori di ghiaccio fuori dalla porta della cucina.
Quest'anno è tornata la neve, proprio come capitava una volta.
Oibò, ha ragione la mia amica Elena, sono tornate le vecchie stagioni

lunedì 22 dicembre 2008

It's A Wonderful Life Ending

Ci sono film che potrei guardare miliardi di volte, che conosco a memoria in ogni inquadratura, di cui potrei recitare i dialoghi a occhi chiusi, ma che, invariabilmente, mi provocano sempre la medesima emozione: piango come un vitello. Uno su tutti: La Vita è Meravigliosa, di Frank Capra. Quell'uomo era un genio, lasciatemelo dire. Il suo Clarence, anziano angelo custode che si deve ancora meritare le ali, è più che magnifico Ma di piangere a dirotto non capita soltanto a me, ho scoperto parlandone in giro che parecchia gente non riesce a mantenere il ciglio asciutto nemmeno la centesima volta in cui James Stewart prega Dio perchè lo lasci tornare a vivere. Io dico che se la Kleenex distribuisse una confezione natalizia con il DVD più un metro cubo di fazzoletti farebbe affari d'oro. Il mondo non è perfetto, la gente non è buona come appare nel film, e i Clarence non esistono, lo sappiamo. E con ciò? E' bello crederci almeno per l'ora e mezza del film, e io non riesco a trovare una maniera migliore per augurare BUON NATALE

venerdì 19 dicembre 2008

Natale tra poco

La Chiesa di Givoletto vestita per Natale. Lucine bianche, due angioletti, un piccolo presepe e niente di più. Bella.

lunedì 15 dicembre 2008

VIVA MAO

Non facciamo confusione, il MAO per cui manifesto tutto il mio entusiasmo non è il Presidente Mao, quel signore corpulento dal berretto con la visiera noto in Cina come il "Quattro volte grande": "Grande Maestro, Grande Capo, Grande Comandante Supremo, Grande Timoniere (伟大导师,伟大领袖,伟大统帅,伟大舵手)". Non è l'autore di quel Libretto Rosso che nelle vecchie foto di tanti anni fa veniva sventolato da milioni di mani entusiaste, non è l'indomito nuotatore che si sciroppava lunghe bracciate nel Fiume Giallo pur di dimostrare al mondo di avere una salute di ferro (e si che ce l'aveva, se nonostante le abluzioni in quella melma nè l' epatite A e B e C nè la leptospirosi gli hanno fatto un baffo), non è l'ispiratore della ormai archiviata Rivoluzione Culturale e non è nemmeno l'autore di quella ridicola definizione in stile Harmony che ci ha perseguitate per decenni come L'altra metà del cielo . Niente di tutto ciò, anche se sempre di oriente si tratta: è il MAO Museo di Arte Orientale nuovo di zecca che si è aperto a Torino pochissimi giorni fa. Si trova in Palazzo Mazzonis, tra le vie san Domenico e sant'Agostino in pieno Quadrilatero Romano, dove la leggenda dice che durante la sua permanenza a Torino il grande Rousseau abbia fatto il lacchè. Restaurato da Andrea Bruno, nei suoi cinque piani raccoglie più di millecinquecento pezzi . Ci vorrà più di una visita per farsene almeno una vaga idea, per cominciare è stato bello dargli il benvenuto

venerdì 12 dicembre 2008

Il Castello del Valentino

C’è chi dice che il Castello del Valentino debba il suo nome al santo omonimo, grazie ad una festa galante che vi si teneva ogni 14 febbraio. Chi lo sa se è vero, quello che certamente è vero è che la costruzione risale almeno al millecinquecento, ma la sua forma attuale si deve a Maria Cristina di Francia, moglie di Amedeo I di Savoia, la quale commissionò nuovi lavori tra il 1630 e il 1660 circa su progetti di Carlo e Amedeo di Castellamonte, e pretese che al palazzo venisse data un'impronta di stile molto francese. Quattro torri angolari chiudono l’edificio a ferro di cavallo intorno ad un grande cortile acciottolato, e i suoi tetti spioventi con due piani mansardati sarebbero perfetti anche in un palazzo nel centro di Parigi. Le malelingue, che non mancavano nemmeno nel seicento, favoleggiavano di incontri clandestini con gentiluomini e servitori da parte della Madama Reale, la quale si sarebbe poi disinvoltamente e diabolicamente sbarazzata degli amanti gettandoli in un pozzo. Mi sembra una panzana perchè non mi pare che siano mai state trovate tracce del pozzo, ma soprattutto perchè bisogna avere una bella stazza per scaraventare con successo i focosi amanti dentro ai pozzi, e dubito che le nobildonne dell'epoca fossero così tanto forzute. Si parlava anche dell’esistenza di un passaggio sotterraneo sotto il Po fino alla Vigna Reale, che avrebbe permesso facili e riservati incontri amorosi con Filippo di Agliè. Non ho la minima idea se non sia anche questa una panzana, forse che si e forse che no, ma se il passaggio ci fosse davvero potrebbe tornare utile per una futura linea della metropolitana. Dopo un periodo di abbandono, il Castello nel 1860 divenne prima sede della Facoltà di Ingegneria e in seguito della facoltà di Architettura, ed è la ragione per la quale gli sono particolarmente affezionata. Nel 2006 è stato destinato a sede di Casa Italia per i Giochi Olimpici Invernali, e io dico che non ci poteva essere scelta migliore.

mercoledì 10 dicembre 2008

THAIS

Jules Massenet compone Thais su libretto di Louis Gallet , che trasforma l’omonimo romanzo di Anatole France. Nel marzo 1894 l’opera va in scena con un successo appena discreto da parte del pubblico anche se riscuote le congratulazioni di Anatole France in persona, che scrive: «Caro Maestro, Lei ha innalzato al più alto livello consentito a un’eroina del melodramma la mia povera Thaïs. È la mia gloria più dolce. Sono in una vera estasi. “Assieds-toi près de nous”, l’aria a Eros, il duetto finale, tutto è di una bellezza grande e incantevole. Sono felice e fiero di averle fornito il soggetto su cui lei ha sviluppato le frasi più ispirate. Le stringo le mani con gioia. Anatole France». La storia in due parole: Il cenobita Athanaël vuole redimere la cortigiana Thaïs, e per questo lascia la Tebaide alla volta di Alessandria, dove viene ospitato dall’amico Nicias, amante di Thaïs. Durante un banchetto Athanaël esorta la donna a cambiar vita ma lei non mostra di esserne colpita. In seguito però, si converte e si reca a meditare nel deserto, dove trova finalmente la serenità. Invece Athanaël l’ha perduta, la sua serenità e anzi, prova un desiderio che ha molto poco a che vedere con la redenzione delle anime peccatrici. La faccenda gli procura gli incubi, tanto che sogna la donna morente. Allora si precipita al monastero in cui lei si è rinchiusa, ma la ritrova stremata dalla penitenza e ormai distaccata dalle cose del mondo. Infatti morirà tra le braccia di Athanaël. Fine. Musica molto bella, libretto così così, come d’altra parte quasi tutti i libretti d’opera, ma mi ha sucitato la curiosità di leggere il romanzo che purtroppo però pare introvabile. Scene bellissime e parecchio inquietanti. La prima sarà al Teatro Regio stasera, ma io ve la regalo in anteprima.

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