mercoledì 4 ottobre 2017

Lac Rose, Retba Lake, insomma il LAGO ROSA



A nord della penisola senegalese  di Capo Verde e per una trentina di chilometri a nord est di Dakar, nei pressi del villaggio di Sangalkam nel distretto di Rufisque si stende il   Retba Lake, Lago Rosa, che  una stretta lingua di dune separa dall'Oceano Atlantico. Fino agli anni duemila é stato il punto di arrivo della tappa finale del rally Parigi Dakar, una gara durissima e pericolosa che trascinava folle di scriteriati a mettere in gioco la vita per il gusto dell'avventura. Oggi pare che il percorso africano presenti troppi rischi, e così la corsa la organizzano in Sudamerica ma  continuano  a chiamarla Parigi-Dakar, chissà perché.  
Le  acque di questo lago  sono ricche di  Dunaliella salina, un'alga che favorisce la formazione di un pigmento rosso  che durante la stagione asciutta colora il   lago di un bel  rosa carico, tanto che l'UNESCO sta valutando di inserirlo tra i monumenti patrimonio dell'umanità.  Naturalmente quando l'ho visto io l'acqua era marroncina, 













ma mi fido del racconto di chi il rosa lo ha visto davvero.
Lungo i suoi bordi  pozzi d'acqua permettono la coltivazione di qualche modesto orto, 













Nei recinti le immancabili caprette fanno compagnia a qualche asino,  ma la principale attività di tutta la zona è la raccolta del sale.
Le acque salate  dell'oceano infatti, confluendo nel lago, evaporano per il grande calore e la percentuale salina del lago è almeno pari a quella del mar Morto;  i pesci nonostante tutto si sono adattati all'ambiente e continuano a vivacchiare, ma sono quattro volte più piccoli dei pesci che vivono in acque normalmente salate. 














Percorrere la strada che lo  costeggia ha  qualcosa  di surreale,

ci si muove in un gran silenzio tra dune bianche interrotte soltanto qua e là dal lampo di colore di una  donna che trasporta sulla testa il suo  carico.   


Sono, leggo, almeno tremila le  persone che raccolgono il sale che grossi  camion trasporteranno poi in mezza Africa
















gli uomini  sulle piroghe rompono con un  bastone la spessa crosta che si è formata

 e le donne fanno su e giù per le  poche decine di metri tra l'acqua e la terra ferma, per ore e ore,  portando sulla testa mastelli pesanti   trenta chili. 


E' un lavoro sfiancante,  fatto per di più sotto un  sole che  picchia durissimo, e gli effetti sono ancora più devastanti perchè il sale  prosciuga e corrode  la pelle. L'unica protezione che hanno  è il burro di karité, con cui  uomini e donne si spalmano accuratamente prima di cominciare il lavoro.  Anche Slow food si occupa del sale del Lago Rosa, sulla sua pagina c'é scritto più o meno quello che sto dicendo, quello che Slow Food però non scrive, è che vedere con i propri occhi tutta la  fatica il lavoro e la sofferenza di questa gente  è un'esperienza che non lascia indifferenti.
  

2 commenti:

Nela San ha detto...

Il sale, cosa preziosa. Non ricordo più (ma tu lo saprai certamente) se anche quello venduto come Sale dell'Himalaya sia rosa, in ogni caso ha un prezzo altissimo, ma credo che in entrambi casi sia giustificabilissimo.
Che bel post e che belle foto, la penultima, da premio!

dede leoncedis ha detto...

Il sale dell'Himalaya è effettivamente rosa, Nela San. Il prezzo altissimo di questi sali esotici è un business molto lucroso per chi lo commercializza ma non corrisponde ad un giusto riconoscimento per chi lo estrae. Nel Lago Rosa il sale viene pagato 700 CFA per ogni mastello di 30 chili. Tieni conto che 1 Euro vale 655 FCA, più o meno

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