A nord della
penisola senegalese di Capo Verde e per
una trentina di chilometri a nord est di Dakar, nei pressi del villaggio di
Sangalkam nel distretto di Rufisque si stende il Retba Lake, Lago Rosa, che una stretta lingua di dune separa dall'Oceano
Atlantico. Fino agli anni duemila é stato il punto di arrivo della tappa finale
del rally Parigi Dakar, una gara durissima e pericolosa che trascinava folle di
scriteriati a mettere in gioco la vita per il gusto dell'avventura. Oggi pare che il
percorso africano presenti troppi rischi, e così la corsa la organizzano in Sudamerica ma continuano a chiamarla Parigi-Dakar, chissà perché.
Le acque di questo lago sono ricche di Dunaliella salina, un'alga che favorisce la
formazione di un pigmento rosso che
durante la stagione asciutta colora il lago di un bel rosa carico, tanto che l'UNESCO sta valutando di
inserirlo tra i monumenti patrimonio dell'umanità. Naturalmente quando l'ho visto io l'acqua era
marroncina,
ma mi fido del racconto di
chi il rosa lo ha visto davvero.
Lungo i suoi bordi pozzi d'acqua permettono la coltivazione di qualche modesto orto,
Nei recinti le immancabili caprette fanno compagnia a qualche asino, ma la
principale attività di tutta la zona è la raccolta del sale.
Le acque
salate dell'oceano infatti, confluendo
nel lago, evaporano per il grande calore e la percentuale salina del lago è almeno
pari a quella del mar Morto; i pesci
nonostante tutto si sono adattati all'ambiente e continuano a vivacchiare, ma
sono quattro volte più piccoli dei pesci che vivono in acque normalmente salate.
Percorrere la
strada che lo costeggia ha qualcosa di
surreale,
ci si muove in un gran silenzio tra dune bianche interrotte soltanto
qua e là dal lampo di colore di una
donna che trasporta sulla testa il suo carico.
Sono, leggo, almeno tremila le
persone che raccolgono il sale che grossi camion trasporteranno poi in mezza Africa
gli
uomini sulle piroghe rompono con un bastone la spessa crosta che si è formata
e
le donne fanno su e giù per le poche
decine di metri tra l'acqua e la terra ferma, per ore e ore, portando sulla testa mastelli pesanti trenta chili.
E' un lavoro sfiancante, fatto per di più sotto un sole che picchia durissimo, e gli effetti sono ancora
più devastanti perchè il sale prosciuga
e corrode la pelle. L'unica protezione
che hanno è il burro di karité, con
cui uomini e donne si spalmano accuratamente
prima di cominciare il lavoro. Anche
Slow food si occupa del sale del Lago Rosa, sulla sua pagina c'é scritto più o meno quello che sto dicendo, quello che Slow Food però non scrive, è che vedere con i propri
occhi tutta la fatica il lavoro e la
sofferenza di questa gente è un'esperienza
che non lascia indifferenti.
2 commenti:
Il sale, cosa preziosa. Non ricordo più (ma tu lo saprai certamente) se anche quello venduto come Sale dell'Himalaya sia rosa, in ogni caso ha un prezzo altissimo, ma credo che in entrambi casi sia giustificabilissimo.
Che bel post e che belle foto, la penultima, da premio!
Il sale dell'Himalaya è effettivamente rosa, Nela San. Il prezzo altissimo di questi sali esotici è un business molto lucroso per chi lo commercializza ma non corrisponde ad un giusto riconoscimento per chi lo estrae. Nel Lago Rosa il sale viene pagato 700 CFA per ogni mastello di 30 chili. Tieni conto che 1 Euro vale 655 FCA, più o meno
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