mercoledì 29 giugno 2016

I giardini verticali di Patrick Blanc

Avignone 2009, il nostro primo incontro con un giardino verticale di Patrick Blanc

Due o tre anni dopo ne troviamo un altro sulla parete del parigino Quai Brainly
una installazione di forte impatto, elegante, raffinatissima certamente,  ma con un che di ricercatezza artificiosa  e forzata che, come dire, tiene lo spettatore a distanza. 

L'autore si chiama Patrick Blanc, nel suo ramo  è una autentica star e a giudicare dalle  foto che circolano in rete si veste sempre di verde dalla testa ai piedi, capelli compresi. E non sto scherzando.



Per la   mostra "Organismi" attualmente in corso  alla GAM di Torino, Blanc  ha realizzato questa specie di lumacone verde,  molto suggestivo, che sembra  bucare la vetrata. Lo ha  intitolato La Pénétrante Vivante anche se in realtà non penetra niente perchè è costruito  metà dentro e metà fuori

il cartello esplicativo ci informa che in questa grossa ma non grossissima cornucopia Blanc è riuscito a far stare più di cento tipi di vegetali diversi.


Questo schema dà  un'idea del criterio che Blanc adopera per la costruzione  dei suoi giardini verticali:

Affastellare una quantità inverosimile di piante di diversa provenienza, a ciascuna delle quali non  è riservato più di un metro quadro di parete.  Credo sia la soluzione più complicata, costosa e di difficile  gestione che una mente umana potesse immaginare. 


L'Oasis d'Aboukir si trova all'angolo tra Rue d'Aboukir e Rue des petits Carreaux. E' un altro  giardino verticale che, leggiamo, è stato realizzato in sole sette settimane e ricopre una parete prima deturpata dalle bombolette spray di qualche mediocre graffitaro.  Sono stati scelti  elementi vegetali di colori differenti che spaziano dal giallo, al rosso, al verde.























Da un articolo trovato in rete:

Se vivere nelle città ha fatto perdere il contatto con la natura, i giardini verticali ristabiliscono
 un contatto grazie ad ambientazioni naturali che riducono lo stress e aiutano l’aria 
a purificarsi dagli inquinanti.

Io sono senza dubbio una capra ignorante e incapace di cogliere il bello, ma i giardini verticali di Blanc non mi sembrano ristabilire un contatto grazie ad ambientazioni naturali, io ci vedo invece  una violenza bella e buona nei confronti di quella  natura che   dovrebbero aiutarci a riscoprire.
E, detto per inciso: il verde sulle pareti non l'ha mica  inventato lui






lunedì 27 giugno 2016

Parigi - la Petite Ceinture

Di nuovo  a Parigi! E stavolta scopriamo l'esistenza della Petite Ceinture, una linea ferroviaria metropolitana di una trentina di chilomteri, oramai in disuso.



E'  di poco interna al Boulevard Périphérique ed era stata inaugurata nel 1862, ma aveva funzionato per poco: a partire dal 1900 le  nuove linee di metropolitana che via via si dipartivano  radialmente dal centro della città avevano cominciato a intersecarne  il tracciato, e dopo una serie di interruzioni  nel 1934 era stata decisa  la sua definitiva chiusura. Negli anni ottanta è stata ancora utilizzata per il traffico merci, poi più nulla.
Non è mai stata demolita e i dibattiti su come riutilizzarla si sono susseguiti negli anni ma sono stati sempre un buco nell'acqua. Qualche stazione, come la Flèche d'Or, 

ha trovato nuova vita come club musicale o come ristorante 
in qualcun'altra un artigiano ha ricavato il suo atelier
ma la maggior parte è tristemente chiusa. Peccato, perchè dicono siano tutte piuttosto belle.

Ufficialmente l'accesso alla petite Ceinture sarebbe  proibito ma il cancello era mezzo aperto,  cartelli di divieto noi non ne abbiamo visti 
e c'erano tanti murales   colorati da fotografare

 



e ad ogni angolo un  nuovo affascinante scorcio da ammirare  







































e così cammina cammina 

siamo arrivati fino a Place de la Nation.

lunedì 13 giugno 2016

Lo Stadio di Lione - Tony Garnier

Avevo sempre avuto il pallino  di parlare  di qualcuno di quegli  architetti che hanno avuto  un ruolo importante nella storia dell'architettura ma  non sono conosciuti come meriterebbero, ma non avevo mai trovato la maniera di cominciare il discorso. Adesso finalmente mi  arriva sul piatto d'argento il pretesto giusto: la prima  partita dell'Italia in questi europei di calcio si giocherà stasera nello stadio Le Gerland di Lione, costruito da Tony Garnier.



Sorge nel  quartiere omonimo, e Garnier  ne inizia la costruzione  nel 1913.  I lavori si fermano presto per il sopraggiungere della guerra e riprendono solo nel 1919, grazie anche al lavoro di molti prigionieri di guerra tedeschi. Viene terminato un anno dopo.






Vi si accede da quattro imponenti portali

ed è  circondato da una pista ciclabile, ma  è  privo di posti coperti e molti sono i posti in piedi,  per cui negli anni deve subire  parecchi interventi di adeguamento.  Nel 1960  la pista ciclabile viene eliminata, e qualche decennio dopo è la volta delle tribune nord e sud, che vengono abbattute e ricostruite più in là per aumentarne la capienza.





Nel 1967 viene riconosciuto  monumento storico e le scalinate di accesso, ma soprattutto i quattro bellissimi  archi d'ingresso,  sono finalmente tutelati da qualsiasi velleità di modifica.

Ma Garnier non è solo l'architetto dello stadio Gerlande, la sua è stata una figura importante e significativa, e non soltanto per la città di Lione.
Infatti, negli stessi anni in cui in tutta Europa  si afferma l'Art Nouveau, in Francia due figure portano avanti esperienze sempre d'avanguardia, ma di tutt'altro genere: Auguste Perret a Parigi, di cui abbiamo già detto, e  Tony Garnier a Lione.
Personalità schiva,  sempre volutamente  lontano dai grandi  dibattiti culturali dell'epoca, ma  lucido e rigoroso nella sua opera di  progettista, e soprattutto, molto molto concreto, Garnier ha rivoluzionato l'architettura del suo tempo.  Figlio di canuts, cresciuto nel quartiere operaio della Croix-Rousse, frequenta i corsi dell'Accademia di Francia a Roma dove inizia a ragionare sul progetto per una cité industrielle, che presenta al concorso Gran Prix de Rome del 1901 anche se la pubblicazione avviene soltanto parecchi anni dopo, nel 1917.  Il  progetto è tecnicamente dettagliatissimo e prevede l’utilizzo del cemento armato e uno stile privo di qualsiasi fronzolo, con la  zona industriale ben separata dalle aree residenziali, che Garnier  riunisce  intorno ad un largo viale centrale su cui transitano i mezzi pubblici. All’interno sono previsti  i servizi di quartiere: scuole, posta, ambulatori, mentre nel territorio circostante trovano posto le aziende agricole e le attrezzature urbane:  l'ospedale il macello il cimitero. Gli  alloggi sono tutti affacciati sul viale,  sono aerati e ventilati per garantire condizioni di vita ottimali, e sono tutti dotati non solo di camere da letto sufficienti per la famiglia, ma anche di  un soggiorno, ed è la prima volta forse, in cui viene riconosciuto anche ai meno ricchi il diritto di avere uno spazio non strettamente legato ai bisogni primari. Nelle zone  comuni all'esterno  ampi pergolati e panchine incoraggiano  i rapporti tra gli abitanti. 
Il progetto trova poi effettiva realizzazione nel quartiere Etats-Unis di cui Garnier   inizia ad occuparsi nel 1917. In corso d'opera gli edifici, previsti a due piani, vengono innalzati a cinque contro il parere dell'architetto che si batte invano per l'installazione di ascensori.  Il quartiere viene  ufficialmente inaugurato il 25 Giugno 1934. Nel corso degli anni anche gli ascensori finalmente sono stati installati, e oggi è  molto lontano dall'immagine tradizionale che abbiamo delle periferie urbane






la gente ci deve vivere  molto bene  visto che si è battuta perchè l'intero quartiere diventasse il Musée Urbain Tony Garnier 










































martedì 7 giugno 2016

l'Isola di Gorée


Con i suoi edifici coloniali  in pietra lavica,  le stradine sonnolente,



il fascinoso e  fatiscente   palazzo del governatore diventato  dimora di un solitario montone




bouganville  palme e   alberi di baobab ad ogni angolo,
















l’isola di Gorée è una striscia di paradiso che l'UNESCO ha riconosciuto patrimonio dell'umanità,  ed è uno dei luoghi più  pittoreschi che si possano trovare intorno a Dakar, da cui dista una ventina di minuti di traghetto.













Niente  automobili,  spiaggette silenziose e tranquille   e sentieri in terra battuta  lungo i quali si assiepano miriadi di venditori di monili e vestiti,  e  pittori che espongono le loro opere in una sorta di galleria d'arte a cielo aperto.















Si stenta a credere che  un luogo così seducente  sia anche  simbolo di una delle tragedie più tremende per il genere umano.
La storia dell'isola comincia ufficialmente nel 1444, quando i  Portoghesi che la occupano la chiamano  “Isola delle Palme”.  Con la conquista da parte degli   Olandesi  diventa  “Buona Rada” e infine con l'arrivo dei Francesi prende il nome attuale di Gorée. In capo a poco più di un secolo  diventa  la base per la tratta degli schiavi verso il Nuovo Mondo, ed il commercio è nelle mani di un gruppo di famiglie meticce nate dall'unione di trafficanti olandesi e francesi con  donne  africane.

Esseri umani incatenati e marchiati a fuoco vengono venduti all’asta e imbarcati su un  galeone per andare a lavorare nelle piantagioni di cotone e della canna da zucchero,  ogni legame familiare  spezzato e   mariti,  mogli, figli  separati per sempre.
La Maison des esclaves,



sulla costa est dell'isola,  viene indicata come  la base da cui partivano i galeoni. Risale al  1776 e studi storici ci dicono che in realtà solo una piccola parte del  traffico degli schiavi è passata da qui,



ma questa casa rossa nemmeno tanto grande è diventata  il simbolo universale della tratta degli esseri umani. La  vengono a visitare  da tutto il mondo ma sono  soprattutto  gli afro americani a seguire con partecipazione  le spiegazioni della guida che parla del viaggio degli schiavi, la loro vita nella casa e mostra la porta a picco  sul mare dalla quale venivano imbarcati. Il suo è un racconto  talmente appassionato e coinvolgente che non può   lasciare  indifferenti


e sono sicura che ha commosso anche il presidente Obama 



Post Scriptum.
"Le catene di Gorée"  è uno di quei librini che i ragazzi di colore  vendono sotto i portici per pochi euro. Se vi capita di vedervelo offrire compratelo, per favore. E leggetelo.


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