Con i suoi edifici coloniali in pietra lavica, le stradine sonnolente,
il fascinoso e fatiscente palazzo del governatore diventato dimora di un solitario montone
bouganville palme e alberi di baobab ad ogni angolo,
l’isola di Gorée è una striscia di paradiso che l'UNESCO ha riconosciuto patrimonio dell'umanità, ed è uno dei luoghi più pittoreschi che si possano trovare intorno a Dakar, da cui dista una ventina di minuti di traghetto.
Niente automobili, spiaggette silenziose e tranquille e sentieri in terra battuta lungo i quali si assiepano miriadi di venditori di monili e vestiti, e pittori che espongono le loro opere in una sorta di galleria d'arte a cielo aperto.
Si stenta a credere che un luogo così seducente sia anche simbolo di una delle tragedie più tremende per il genere umano.
La storia dell'isola comincia ufficialmente nel 1444, quando i Portoghesi che la occupano la chiamano “Isola delle Palme”. Con la conquista da parte degli Olandesi diventa “Buona Rada” e infine con l'arrivo dei Francesi prende il nome attuale di Gorée. In capo a poco più di un secolo diventa la base per la tratta degli schiavi verso il Nuovo Mondo, ed il commercio è nelle mani di un gruppo di famiglie meticce nate dall'unione di trafficanti olandesi e francesi con donne africane.
Esseri umani incatenati e marchiati a fuoco vengono venduti all’asta e imbarcati su un galeone per andare a lavorare nelle piantagioni di cotone e della canna da zucchero, ogni legame familiare spezzato e mariti, mogli, figli separati per sempre.
La Maison des esclaves,
sulla costa est dell'isola, viene indicata come la base da cui partivano i galeoni. Risale al 1776 e studi storici ci dicono che in realtà solo una piccola parte del traffico degli schiavi è passata da qui,
ma questa casa rossa nemmeno tanto grande è diventata il simbolo universale della tratta degli esseri umani. La vengono a visitare da tutto il mondo ma sono soprattutto gli afro americani a seguire con partecipazione le spiegazioni della guida che parla del viaggio degli schiavi, la loro vita nella casa e mostra la porta a picco sul mare dalla quale venivano
imbarcati. Il suo è un racconto talmente appassionato e coinvolgente che non può lasciare indifferenti
e sono sicura che ha commosso anche il presidente Obama
Post Scriptum.
"Le catene di Gorée" è uno di quei librini che i ragazzi di colore vendono sotto i portici per pochi euro. Se vi capita di vedervelo offrire compratelo, per favore. E leggetelo.
4 commenti:
Quando leggo il triste destino di questa gente e questa "immigrazione forzata", penso a quanto succede oggi, ai "forzati" dell'emigrazione. Non è esattamente una sorta di legge del contrappasso fra due mondi, di sicuro però le civiltà cosiddette evolute hanno la colpa morale di quello che è accaduto nel passato e nel presente. Resto sempre folgorata da questi tuoi post, mai ovvii. Ora ho il tempo per gustarmeli giorno per giorno.
Nela il confronto con le migrazioni di oggi è inevitabile e si porta dietro tutta una serie di riflessioni sulle responsabilità le colpe ma soprattutto l'ignavia di tutti noi che fingiamo di non vedere. Grazie per l'apprezzamento
A Goreée hanno abitato per alcuni anni dei miei amici, e mi ero sempre chiesta che aspetto avesse. Be', bellissima, almeno oggi. Un altro centro per la tratta degli schiavi era Zanzibar, anche lì un passato angoscioso in mezzo a un paradiso terrestre.
Cara Dede,
la tua penna chiara, che vede oltre la presenza fisica delle cose e delle persone, mi "folgora", come dice bene la tua amica che mi precede; hai la facoltà con essa di dare una scheda completa in pochi tratti e con foto adeguate...grazie soprattutto per le informazioni, che son collegate al presente e al tuo punto di vista, sempre logico e attento alla storia e alle situazioni sociali e politiche, che ci fanno riflettere e abbandonare spesso delle posizioni preconcette e anche stupide che possiamo avere!
Grazie di nuovo!!!
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