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Ci sono persone con cui non ho mai scambiato una parola, di cui non so assolutamente niente di niente, e che nonostante questo un po' fanno parte della mia vita.
Persone incontrate per caso, come la cassiera del supermercato che ho visto poco a poco diventare brizzolata e che adesso si tinge i capelli troppo di rado, o lo spazzino che passa a lavare il bidone della spazzatura ogni tre giorni da non so quanto tempo: era un ragazzino, è diventato adulto e ora è un ometto di mezza età con la pancia e quelle borse sotto gli occhi che lasciano indovinare una certa assiduità con la bottiglia. La signora scicchissima che da almeno quindici anni siede due file davanti a me ai concerti dell'Unione Musicale, non ha mai risposto ad un mio cenno di saluto e se ne va regolarmente via di scatto senza applaudire ancora prima che sia risuonata l'ultima nota, manco la sua poltrona stesse andando a fuoco. O il bambino che vedevo uscire dalla scuola elementare con le scarpe da ginnastica e le merendine in tasca e adesso, lampadato e griffato dalla testa ai piedi, fa il cassiere nella mia banca.
Anni e anni durante i quali ci siamo incrociati con tanta regolarità da diventarci reciprocamente familiari pur senza conoscere nulla gli uni degli altri.
Persone con le quali non credo di avere granchè in comune e che non vorrei mai dover intrattenere per penuria di argomenti di conversazione, ma a cui, nel corso delle mie elucubrazioni di psicologa faidate, ho attribuito una famiglia, un carattere, delle abitudini e perfino dei difetti. Ho dato loro un'identità fittizia a cui mi sono quasi affezionata, e non mi andrebbe proprio di dovermi ricredere.