Leggo solo oggi che al Maxxi di Roma è in corso, e durerà fino a fine gennaio, Indian Highway, che mette in mostra sessanta opere di trenta artisti indiani.
Da quanto ho letto su Repubblica alcuni degli autori presenti al Maxxi sono reduci da Paris-Dehli-Bombay, mostra che ha chiuso i battenti il 19 settembre al Centre Pompidou di Parigi.
Non mi era ancora mai capitato di vedere arte contemporanea indiana ed è stata una esperienza molto interessante anche se ho il sospetto di arrivare buona ultima e di aver scoperto l'acqua calda, visto che le mostre di artisti indiani da qualche anno a questa parte stanno andando forte e pare che soltanto io non me ne fossi ancora accorta.
In ogni caso, approfitto della coincidenza per far vedere alcune foto della mostra di Parigi e vorrà dire che chi già conosceva potrà fare un veloce ripasso, e chi come me non aveva ancora avuto occasione di incappare nell'arte indiana di oggi potrà farsene un'idea lacunosa e incompleta ma sufficiente per andarsi a mettere diligentemente in coda alla biglietteria del Maxxi prima che sia troppo tardi,
a partire dalla grossa testona femminile dorata e ingioiellata che apriva il percorso,
alle ghirlande di fiori rossi di Sunil Gawde, che ad un primo sguardo possono sembrare un innocuo boa di piume e sono invece fatte da una miriade di lamette taglienti, subdole assassine come assassina era stata la ghirlanda esplosiva che aveva ucciso Rajiv Gandhi
O le due pareti contrapposte che incombono sul visitatore e solo da molto vicino si svelano essere una impressionante bidonville che l'artista (Hema Upadhyay, me lo sono appuntato) ha ricostruito minuziosamente adoperando, e la metafora è chiarissima, scatolette vuote, pezzi di latta e materiali di scarto.
o la stanza degli specchi di Bharti Kher, incastonati dentro cornici ironicamente baroccheggianti ma tutti rotti e oscurati da una infinita sequenza di bindi, il terzo occhio che le donne sposate portano sulla fronte.
Ma nella mia personalissima classifica la palma d'oro, l'oscar, il primo premio insomma, è andato incondizionatamente ad Ali Baba, una scintillante installazione di Subodh Gupta
composta da un numero incredibile di utensili e attrezzi da cucina in acciaio inox.
Ho apprezzato il titolo particolarmente centrato, mi è piaciuto tentare di interpretare i significati reconditi dell'opera, ma soprattutto (e la cosa demolisce drasticamente ogni mia ipotetica credibilità in veste di critico d'arte, aimè), avrei fatto carte false per possedere uno di questi rutilanti, splendidissimi scaldavivande pluripiano
Per chi avesse voglia, qui ci sono tutti i video realizzati per l'occasione dal Centre Pompidou, quello che segue altro non è che un piccolo assaggio.
7 commenti:
Ovviamente Bree non può che essere d'accordo!
Bene! Farò in tempo a vederla a Roma al mio ritorno: per i viaggi( veri o di fantasia) sono insaziabile
Coincidenza: io oggi ne leggevo l'articolo su La Stampa versione (web).
E se ci organizzassimo una bella gita? Bye&besos
L'installazione che ti ha colpita tanto è davvero un'istigazione a delinquere (quanto ci si becca se si viene colti sul fatto, mentre si cerca di imbertarsi nella borsa un qualunque pezzo di quella meraviglia?).
Davvero interessante, comunque. Mi inquietano molto la bidonville e il boa di lamette.
Mi dicono che anche il Maxxi vale da solo una bella visita.
Saluti affettuosi, cara Dede
Scopro da poco il tuo bellissimo blog. Da amante della Francia non potrò che esserne un accanito sostenitore!
A presto.
Enrico
Ma sai che l'ho trovata sul serio interessante (e che mi sto meravigliando di me stessa)?
Post molto interessante, in particolari mi piacciono i 2 pannelli/parete con la bidonville.
http://thestyleattitude.blogspot.com/
Posta un commento