lunedì 22 novembre 2010
mercoledì 17 novembre 2010
Paradisi Artificiali: Williams-Sonoma
Questo è un post ad personam dedicato principalmente alla mia amica Erika che sta progettando a breve un viaggetto nella Grande Mela.
Essendo anche lei una strenua caccavel-dipendente,
credo sia un mio preciso dovere, non potendola accompagnare fisicamente, fornirle quanto meno alcune indicazioni in merito ai pellegrinaggi fondamentali per evitare crisi di astinenza, che come ben sappiamo possono rivelarsi ancora più perniciose quando ci si trova lontani da casa e non si dispone di un pusher di fiducia.
Cominciamo da Williams Sonoma, mecca delle mille tentazioni (vedere per credere)
assolutamente imperdibile, anche in considerazione del fatto che può contare su ben ventisette sedi racchiuse entro cinquanta miglia, e almeno sette di queste ventisette sedi si trovano nel centro del centro di Manhattan. Consiglio, per cominciare a prendere confidenza, lo store che si trova in Columbus Circle
Lo spazio non è enorme ma scicchissimo raffinato, e caro, però va detto che la qualità dei prodotti è notevolmente alta, direi ancora più che non da Crate and Barrel , e tantissimi tra i gadgets per cui si sarebbe disposti ad uccidere si trovano solo qui, in esclusiva.
Andate a lustrarvi gli occhi e state pure tranquilli, perché dove il buonsenso nulla può fare per fortuna provvedono le norme sul peso dei bagagli a limitare drasticamente gli acquisti a qualche asciughino un grembiule e va là.
Da Williams-Sonoma c'è anche la possibilità di far personalizzare i regali col nome del destinatario, ed è un pensiero che fa' sempre colpo. Lo posso dire con cognizione di causa: le spatole che mi ha regalato Elizabeth qualche Natale fa destano ancora oggi l'ammirazione e l'invidia di molte amiche.
giovedì 11 novembre 2010
A l'é MAC BUN!
A casa mia l'hamburger si è sempre mangiato. A cercare il pelo nell'uovo non era proprio proprio un hamburger con tutti i crismi, mia nonna infatti lo chiamava svizzerina, lo cuoceva fino a farlo diventare una suola da scarpe e di solito lo accompagnava con un contorno di purè di patate con poco latte e senza burro. Perchè il burro faceva male. Anche il prosciutto crudo faceva male, e i formaggi (tutti tranne la Berna), i sottaceti i wuster i budini (tollerati, ma solo per occasioni speciali, i budini Elah) e la senape.
Col bollito, e solo col bollito, era permesso un invisibile baffo di salsa Rubra.
Anche bere troppa acqua a tavola faceva male, faceva venire le rane nella pancia. Ma le rane nella pancia venivano comunque, anche se si beveva lontano dai pasti.
Credo sia stata questa la molla che mi ha fatta diventare una fan sfegatata di Mc Donald già molto tempo prima che Mc Donald sbarcasse in Italia. La sua esistenza mi si era rivelata casualmente, guardando un vecchissimo film in bianco e nero di serie B durante uno dei tanti pomeriggi estivi in cui per sfuggire all'afa mia sorella e io ci chiudevamo subito dopo pranzo nel Cinema La Perla, l'unico che proiettava due film diversi ogni pomeriggio.
Solo dopo avevo scoperto che, anche se in Italia non c'era nulla di simile, all'estero Mac Donald e Burger King pullulavano e andarci a pranzare quando eravamo in vacanza era una autentica festa. A me piaceva da morire tutto quanto, il panino al sapore di segatura, la polpetta finalmente sapida e grondante di grasso che colava in mezzo alle dita, il sacchetto di patatine unte e bisunte e perfino quell'ineguagliabile effluvio, un misto di fritto vaniglia e ketchup che in un amen ti impregnava vestiti e capelli, e che voleva dire vacanza si, ma anche trasgressione (da bambini le idee sulla trasgressione sono ancora abbastanza approssimative)
Dopo l'arrivo sul suolo patrio dell'amico Mac però devo ammettere che il fascino del frutto proibito aveva perso parecchio appeal, complice anche una accresciuta consapevolezza sui rischi da eccesso di colesterolo e forse pure una migliorata sensibilità in campo olfattivo, diciamolo. Fatto sta che erano secoli che non mettevo piede in un fast-food-trattino-hamburgeria.
Fino a ieri, quando sono andata a pranzo nella prima e unica Agrihamburgeria Slow Fast Food di tradizione piemontese,
che serve solo carne fresca di fassone piemontese, patate cucinate sul momento, pane di panetteria e bevande naturali: birra artigianale e vino prodotto dalle nostre parti. No surgelati, No prodotti industriali.
I proprietari avevano pensato con una discreta dose di ironia di chiamarlo Mac Bun, espressione dialettale che si traduce in italiano con Soltanto Buono, ma l'idea non era piaciuta agli avvocati dell'altro Mac, i quali lancia in resta avevano minacciato cause penali per appropriazione indebita di marchio depositato, con grande battage sui giornali.
Detto fatto, Il MAC BUN è diventato M** BUN
e credo che i proprietari ancora stiano benedicendo la minacciata querela per la enorme pubblicità gratuita che ne hanno tratto.Menu scritto in piemontese, gettonatissimo il Chiel (Lui)
hamburger classico con insalata e pomodoro, ma vanno alla grande anche il Tuma con formaggio, il Mach ca Brusa con peperoncino, e le insalate di carne cruda à la piemunteisa con l'aglio e à la franseisa con senape.
I prezzi sono più che ragionevoli anche se, ça va sans dire, sono più alti dei fast food tradizionali, ma a parte ogni confronto sulla qualità del cibo servito (confronto improponibile, siamo proprio su pianeti diversi), la pulizia è impeccabile, le stoviglie sono biodegradabili e la raccolta dei vassoi usati avviene in maniera superdifferenziata. Nessuna puzza di fritto, il personale è garbato e svelto
e la coda non dura mai più di qualche minuto.
Ho letto che stanno per aprire un nuovo punto a Torino.
Rimedio subito al giusto appunto di Lydia: il locale si trova a Rivoli, in corso Susa 22/E. A due passi dal mio studio
lunedì 8 novembre 2010
Madama Butterfly al Teatro Regio
A parte il finale che è effettivamente tragico, la bella fiaba esotica invece altro non è che una sordida storia di sfruttamento sessuale. E ditemi se sbaglio: Giappone - un ignobile americano si compra per pochi soldi una bambina di quindici anni, la molla dopo un mese dicendole che ritornerà nella stagione in cui i pettirossi fanno il nido, e non si fa' più vedere per tre anni. La bambina nel frattempo ha messo al mondo un figlio e vive nell'illusione di essere moglie del bellimbusto, il quale prima o poi ritornerà da lei per portarla in America. Il bellimbusto torna infatti, ma è corredato di una nuova moglie e non è per niente intenzionato a rivedere la poverina, tanto che chiede ad un altro di levargli le castagne dal fuoco e dire a Butterfly (le aveva pure dato un nomignolo affettuoso, l'infame) di togliersi dai piedi senza fare storie. Quando poi viene informato che la ragazzina ha dato alla luce un figlio suo, l'idea migliore che ha è di portarlo via alla madre legittima e affidarlo alle amorevoli cure della nuova moglie. Dal suo punto di vista è un'ottima pensata: in un colpo solo si può liberare dell'amante da archiviare, affibbiare la gatta da pelare alla moglie e ritrovarsi così libero come un fringuello per mettere al mondo qualche altro figlio con una nuova bambina, immagino. A Butterfly, ripudiata dalla famiglia d'origine e senza un soldo in tasca, non resta altra scelta che rassegnarsi a lasciare il bambino al padre e suicidarsi.
Ovviamente Pinkerton arriverà cinque minuti dopo, giusto in tempo per potersi disperare e cantare il suo rimorso sul cadavere.
Questa la trama, detta con parole mie e filtrata attraverso la mia interpretazione personale, forse viziata dalle vicende di cui ci informano ampiamente le prime pagine dei giornali da qualche tempo in qua, ma che non mi sembra però molto lontana dalla lettura che ne ha dato anche il regista, che lascia da parte chimoni d'ordinanza e orpelli da sol-levante-di-casa-nostra per catapultarci tra i cartelloni e i neon di una squallida strada di periferia, nel mezzo della quale una piccola serra trasparente è il fulcro intorno a cui si dipana tutta la vicenda e che diventa via via la vetrina da cui le prostitute adescano i loro clienti ma anche la la stanza che la povera Butterfly considera casa, il rifugio che la dovrebbe proteggere e che invece la espone, inerme, alla curiosità cinica della gente.
Bellissimo e toccante, ai limiti dei lucciconi, il coro a bocca chiusa del secondo atto dove il buio quasi completo della scena è interrotto soltanto da una teoria di fiochi lumini. Mercoledì 10 novembre la prima.
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