mercoledì 29 luglio 2009
Le Pain Quotidien
Le Pain Quotidien: è una catena di ristoranti la cui storia è stata già raccontata, meglio di come avrei saputo fare io, da una autorevole blogger molto simpatica che ho conosciuto l'anno scorso quando eravamo entrambe al di là dell'oceano.
Le Pain Quotidien, dicevamo. Un nome che deve sembrare agli americani piuttosto ostico da pronunciare, visto che sul sito si sono sentiti in obbligo di chiarire che:
Yes, it's tricky. (It was so simple in Belgium!) It sounds like this: luh paN koh-ti-dyaN (didascalia che a prima vista uno crede riferirsi ad una misteriosa cerimonia rituale coreana, e invece indica a uso e consumo degli anglofoni una pronuncia il più possibile simile al francese) Don’t be shy—it takes some practice. Our friends call us “PQ” for short.
e comunque per tagliare la testa al toro, cliccando su "Our Name", anche il più balengo può ottenere una dizione accettabile se si esercita in una sorta di mini karaoke al seguito di una suadente voce maschile che ripete con ogni intonazione possibile luh paN koh-ti-dyaN luh paN koh-ti-dyaN luh paN koh-ti-dyaN luh paN koh-ti-dyaN.
per chi fosse interessato a far pratica, il percorso è il seguente:
Le Pain Quotidien - cliccare su Choose you Country e selezionare United States. Cliccare in alto a sinistra About, e poi selezionare l'ultima voce della lista: Our Name. Adesso non resta che seguire mister voce-di-velluto che attende sullo schermino a destra.
E adesso che la pronuncia è sistemata, passiamo a parlare brevemente anche del resto.
L'arredamento è in legno grezzo con lunghi tavoloni a cui ci si siede tutti insieme, il cibo è fresco, curato e ben presentato, ma senza le leziosaggini stucchevoli dei ristoranti che vogliono sembrare fighetti a tutti i costi, ed il menu a prova di salutisti e vegetariani offre anche parecchi piatti adatti a vegani di stretta osservanza. I dolci sono leggeri e non hanno nulla da spartire con le mappazze iperburrose che piacciono tanto agli americani, il servizio è veloce e cortese e tanti piccoli dettagli come la pila di seggioloni in legno a disposizione dei più piccoli rendono l'atmosfera piacevole e rilassata anche quando il locale è pieno come un uovo.
Non andateci la sera perchè chiude alle 19,30
lunedì 27 luglio 2009
Scandinavia House in Park Avenue
Durante le peregrinazioni su Park Avenue di cui ho dato conto in precedenza mi è capitato di imbattermi anche nella Scandinavia House, che è la sede della American-Scandinavian Foundation a New York, organizzazione molto attiva, a quanto ho potuto vedere, che propone una miriade di iniziative interessanti che vanno dagli incontri con personalità della cultura ai concerti passando per letture conferenze e dibattiti. Tutte belle cose di cui, come mi capita sovente, ho soltanto potuto leggere i programmi chiedendomi perchè le cose più interessanti si svolgono sempre quando io sono da un'altra parte.
Ma per fortuna la Scandinavia House oltre a prendersi cura dello spirito della cultura e dell'informazione si occupa anche piuttosto bene del benessere della gente, e ha messo su un ristorantino niente male nel quale data l'ora mi è sembrato inevitabile infilarmi. A dire la verità oltre alla legittima curiosità per il posto c'era anche l'anelito ad un pasto in cui grassi saturi e aglio fossero per una volta contenuti entro limiti tollerabili e, last but not least, il desiderio di dare una utile dritta ad una amica blogger , come me impallinata del Grande Nord, nel caso si aggirasse sola e affamata dalle parti di Park Ave.
La sala, molto luminosa e con un bell'albero nel mezzo, era parecchio affollata e piacevolmente animata da un brusio discreto. Evidentemente i frequentatori della Scandinavia House, a differenza degli italiani ma anche della stragrande maggioranza dei newyorkesi, conoscono la differenza tra conversare e starnazzare. Questo il menu, io ho scelto il sandwich di salmone con uova strapazzate e sour cream. Buono, per niente caro, e totalmente privo di aglio
gli amici di pentola hanno colpito ancora
Nel rispetto di quella che oramai è diventata una tradizione, in occasione dei 60 splendidi anni di Eva il catering è stato curato dagli amici di pentola.
Evento impegnativo, non si voleva sfigurare ed è stato necessario un serio e laborioso periodo di applicazione per mettere a punto ogni strategia. Occorre riconoscere che nessuno si è sottratto e abnegazione e impegno sono stati totali da parte di ciascuno
La festa si è svolta alle cantine Santa Clelia di Mazzè e i risultati sono stati lusinghieri,
per l'occasione ci siamo perfino inventati l'uniforme: total black e faudal bianc. (per i non piemontesi: grembiule bianco)
Modestia a parte, noi eravamo bellissimi
e la cena è stata un successo
venerdì 24 luglio 2009
Isamu Noguchi Garden Museum
Prendete la metro Linea N o W fino alla fermata Broadway (di Queens) poi camminate per un buon quarto d'ora verso ovest fino a Vernon Street.
Arriverete all'Isamu Noguchi Garden Museum, uno spazio dedicato alle opere di un artista poliedrico, statunitense ma di origine giapponese, troppo poco conosciuto dalle nostre parti.
Sarebbe riduttivo etichettarlo soltanto come scultore, Noguchi infatti ha anche progettato parchi gioco per bambini, collaborato a lungo con artisti del calibro di Marta Graham e si è dedicato al design per interni. I suoi lavori in pietra, bronzo e marmo si snodano attraverso le tredici sale luminosissime
e il giardino centrale e sono assolutamente affascinanti
per il loro rigore, la perfezione della forma e anche per l'uso intrigante della luce.
Di fronte a opere di arte astratta io che non sono un'esperta mi sono trovata sovente a guardare senza capire, una analfabeta di fronte ad una pagina scritta. Stavolta invece mi è sembrato di comprendere perfettamente l'opera e il percorso per realizzarla, ho capito o forse ho creduto di capire, ma in fondo non c'è tanta differenza, il suo linguaggio ed è stata una bella sensazione.
Come dire, mi sono sentita in terra amica e non su un altro pianeta. Confortante
In una sala ci sono alcuni bronzi che a prima vista uno prende per opere d'arte tout court, e invece sono plastici, strepitosamente belli, dei suoi progetti di parchi.
Noguchi infatti aveva elaborato alcuni progetti per parchi metropolitani completi di terrazze piscine colline e giochi per bambini, che furono presentati a Robert Moses, la discussa figura che nella prima metà del secolo scorso ha cambiato la faccia di New York più di quanto lo stesso barone Haussman avesse mai potuto fare a Parigi.
I progetti vennero puntualmente rifiutati, dice la didascalia, con profondo sarcasmo, e conoscendo le idee di Moses non sarebbe potuto essere altrimenti
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