lunedì 30 giugno 2008
già che siamo in tema di architettura: Alvar Aalto al MIT
MIT: Massacchusset Institute of Technology, una delle università scientifiche più note sulla faccia della terra.
Sarebbe stato molto interessante girare per tutto il campus, ma noi non avevamo molto tempo a disposizione, e così ci siamo concesse solo una brevissima puntata, giusto il tempo di rivedere i dormitori progettati da Alvar Aalto , che all'epoca vi insegnava, intorno alla fine degli anni quaranta.
Risalgono al 1948 questi edifici dalla forma a serpentina, in cui i servizi comuni si trovano nella parte concava e in cui le camere per gli studenti hanno un andamento irregolare e sinuoso. I fabbricati sono in mattoni, interrotti soltanto dal blocco della scala esterna trattata ad intonaco, che diventa l'elemento fortemente caratterizzante di tutto il complesso.
All’interno si può rilevare tutta la genialità del progetto di Aalto nella disposizione delle camere e degli spazi di soggiorno e di incontro, ma sono tutti spazi privati ad uso degli studenti e interdetti ai curiosi.
Purtroppo le mie foto parziali e lacunose non permettono di cogliere la forma degli edifici, e di conseguenza risulta impossibile comprendere quanto sia stretta la connessione tra la costruzione e lo spazio aperto circostante, dovete credermi sulla parola. Oppure andare a controllare di persona.
Se propenderete per la seconda opzione sappiate che non ve ne pentirete.
ci siamo messi il vestito della festa
venerdì 27 giugno 2008
il pizzaiolo fondamentalista
Chiariamo subito: io non sono una di quelle che pretendono di mangiare all'italiana anche in capo al mondo, anzi. Mi piace tutto e ho sempre sbandierato a destra e a manca che assaggiare la cucina del luogo è una delle tante cose per cui vale la pena di fare un viaggio.
Ma come dappertutto, anche per me esiste la fatidica eccezione che conferma la regola, e si chiama Una pizza napoletana.
E' una vera autentica tradizionalissima pizzeria napoletana trapiantata nel Village, e il suo proprietario, Tony Mangieri, è un fondamentalista, uno che si farebbe tagliare una mano piuttosto che mettere una fetta di salame o un pezzo di peperone su una delle sue pizze. Per lui, solo acqua sale e farina, e impasto rigorosamente fatto a mano.
Niente lievito di birra e un forno a legna, savasandìììììììììr
Offre un menu che credo sia il più striminzito di tutta New York: quattro soli tipi di pizze, niente insalate niente dolci, niente che possa ricordare le mastodontiche untissime e superaccessoriate pizze americane. Vino acqua e birra, ma niente bibite dolci e gasate, e alla fine solo caffè fatto con la napoletana, accompagnato da un quadretto di cioccolato di Modica. stop.
Così facendo, Tony è diventato una star, fotografato intervistato e citato sui giornali più prestigiosi.
Ma tutte queste belle qualità non sarebbero state sufficienti a spingermi a caldeggiare la pizza napoletana di Tony, mentre c'è un particolare che, da solo, mi è bastato per far balzare questo tatuatissimo giovanotto in cima alle mie preferenze culinarie nella Grande Mela.
Anthony ha affermato pubblicamente che la mia cucina è la migliore tra le cucine casalinghe che lui abbia mai assaggiato,
e per un ragazzo italo americano che rimpiange i manicaretti della nonna bisogna riconoscere che questo è un complimento davvero grosso.
Perciò, se per una sera vi punge la nostalgia di una buona pizza fatta come a Napoli, sapete dove andare.
Dimenticavo: se ci capitate di giovedi sera, potreste essere serviti al tavolo dalla figlia emigrante
C'è una mela nella Mela
Una mela nella MELA
A Manhattan, sulla fifth avenue a poca distanza da Fao Schwarz, strafamoso negozio accalappia bambini, c'è il super trasparente megastore della Apple.
Il vero e proprio store in realtà si trova al piano interrato,
ma dalla piazza vi si accede attraverso questo attraente cubo di vetro che sembra star su quasi per magia, grazie ad una struttura di sostegno praticamente invisibile.
Se vi servono Ipod Iphone Ibook Itune o qualsiasi altro I vi venga in mente, questo è proprio il posto giusto.
Bowery
La nuovissima sede del New Museum Of Contemporary Art è stata inaugurata il 1° dicembre 2007.
Progettato da uno studio giapponese, questo museo è stato definito una pila di sei blocchi luccicanti inseriti fra la sporcizia di Bowery.
Effettivamente, la zona non è tra le più belle di Manhattan e il museo poi si trova a fare i conti con una miriade di squallidi negozi di attrezzature per la ristorazione,
ma non è azzardato pensare che grazie prorio a lui tra poco le cose cambieranno radicalmente. Capita quasi sempre così a New York: quartieri malandati, fatiscenti e poco raccomandabili diventano di colpo luoghi fitti di localini super trendy e ricercati, pur continuando a restare quartieri malandati e fatiscenti. Misteri metropolitani.
Qui si può vedere l'arte contemporanea più sperimentale, quella che a me che sono del tutto incompetente risulta difficile da catalogare: in questo campo, ma forse non solo questo ad essere onesta, non sono in grado di discernere tra l'opera d'arte con la A maiuscola e il gadget di moda, con la g minuscola. In parole povere, raramente sono in grado di capire se mi trovo al cospetto del lavoro di un artista con il sacro fuoco o all'intortamento di un furbo che se la tira.
Ragion per cui mi limito a osservare, annuisco, faccio grandi cenni con la testa ma mi guardo bene dall'esprimere giudizi a voce alta, caso mai ci fosse un vero critico nei paraggi. Una cosa se non altro nella vita l'ho imparata: mai rischiare di esibire la propria abissale ignoranza
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