venerdì 18 ottobre 2013

tre uomini in barca al Balon










sabato mattina siamo andati al Balon. Spiego per i non torinesi: il Balon è un grande mercato delle pulci vicino a Porta Palazzo. Una volta ci si andava con l'illusione di fare il colpaccio, trovare per due lire il pezzo rarissimo sfuggito alla voracità degli antiquari.
Posto che ciò sia mai stato possibile, cosa della quale dubito assai assai, la maggior parte della merce che ormai si trova sulle bancarelle è semplicemente il ciarpame di cui qualche nostro vicino di casa si è appena liberato pagando a peso d'oro uno svuotacantine bendisposto.
Ciarpame che gioiosamente noi   ricompriamo, pagandolo al prezzo dell'uranio,  sulla bancarella del medesimo astuto svuotacantine .
Bisogna ammettere però che, affari o no affari, girare per il Balon resta un passatempo molto divertente.
sabato dicevo, mi sono imbattuta in una serie di tazze gialle sbeccate e con lo smalto tutto crepato, e non so come, mi è tornato alla memoria Jerome K. Jerome, Tre Uomini In Barca. ....
" bisogna dire che i nostri bisavoli avessero una nozione molto esatta del bello e dell'artistico. Infatti tutti i tesori artistici odierni altro non sono che cose che erano comuni tre o quattrocento anni addietro e sono state esumate. Mi domando spesso se nei vecchi piatti fondi, nei boccali di birra, negli smoccolatoi che oggi tanto pregiamo, vi sia un'autentica, intrinseca bellezza, oppure se è soltanto l'aureola dell'antichità che li rende incantevoli ai nostri occhi.
Le vecchie maioliche che appendiamo come ornamento alle pareti, pochi secoli fa non erano che suppellettili usuali di ogni giorno e le statuine del roseo pastore e della gialla pastorella che ora esibiamo ai nostri amici perché facciano mostra di essere intenditori e si sbavino in elogi, non erano che semplici soprammobili posti sui caminetti e che le mamme del diciottesimo secolo usavano come succhiotti per acquietare i figlioli piangenti.
Avverrà lo stesso nel futuro? I tesori di alto valore dell'oggi, saranno sempre le bagattelle di ieri che costavano due soldi? Ci saranno in bella mostra file dei nostri comuni piatti a disegno cinese sui caminetti dei ricchi nell'anno duemila e dispari? Le tazze bianche con l'orlo dorato e, dentro, i bei fiori in oro (di specie sconosciuta) che le nostre donne di servizio ora rompono a cuor leggero saranno forse accuratamente riappiccicate e messe su di una mensola e spolverate personalmente e solamente dalla padrona di casa?
Nel mio appartamento ammobiliato v'è un cane di porcellana; è bianco, ha occhi scuri e il naso di un rosa delicato con puntini neri. Alza la testa con un senso di pena ed hanno avuto l'abilità di fargli un'espressione che raggiunge l'apice dell'imbecillità.
Francamente non mi piace. Se poi dovessi considerarlo dal punto di vista artistico mi ci irriterei. E' oggetto di sarcasmo da parte di amici senza riguardo, e persino la padrona di casa non l'ammira affatto e ne tollera la presenza solo perché è un regalo di sua zia.

Ma è più che probabile che fra duecento anni quel cane sarà riscavato in qualche posto, mutilato delle gambe e con la coda rotta e sarà venduto per esemplare rarissimo ed esposto sotto una campana di vetro. La gente gli girerà intorno e lo ammirerà e rimarrà colpita dalla straordinaria profondità del colore del naso e discuterà sul come doveva essere stato bello il pezzo di coda mancante.
Eppure noi, in quest'epoca, non vediamo la bellezza di quel cane.
Esso ci è troppo familiare. Succede lo stesso con il tramonto e le stelle; la loro soavità non ci conquista più perché ormai i nostri occhi si sono abituati a vederli. E così pure per il cane di porcellana. Nel 2288 la gente si estasierà per esso. La fabbricazione di questi cani sarà ormai un'arte scomparsa; i nostri discendenti si scervelleranno per indovinare come facemmo noi a modellarli, dirà che eravamo espertissimi e riferendosi a noi diranno con venerazione "quegli antichi, grandi artisti che fiorirono nel secolo diciannovesimo e produssero cani di maiolica come questo
".

Mario Botta a Torino - La Chiesa del Santo Volto


La Chiesa del Santo Volto, di Mario Botta,  nasce in un'area di insediamenti industriali dismessi

















e   viene inaugurata nel dicembre 2006, poco più di due anni dopo la posa della prima pietra avvenuta simbolicamente il 24 giugno, festa di san Giovanni patrono della città di Torino. 


Posta all'intersezione di più strade di grande traffico, non ha per niente  l'aspetto di una chiesa ma è come un grosso agglomerato di  torri  riunite intorno ad un nucleo  centrale. Tutto l'edificio è in laterizio rosso solcato da sottili strisce orizzontali in marmo rosso di Verona





Botta, secondo le sue stesse parole,  ha voluto richiamare  l’immagine di un ingranaggio in omaggio alla memoria industriale del sito, omaggio sottolineato anche  dalla vecchia ciminera, elevata alla dignità di simbolo religioso.  Un tempo utilizzata per espellere i fumi dell’altoforno delle acciaierie Fiat, oggi non soltanto ha mantenuto la funzione di scarico e presa d'aria per le  centrali di condizionamento, ma è diventata un campanile  di grande suggestione, merito delle campane poste ai suoi piedi e soprattutto della  spirale  di lame in acciaio che la avvolgono come una immensa corona di spine. 



L’ingranaggio di Mario Botta è fatto di sette torri alte più di trenta metri e chiuse da lucernari inclinati a quarantacinque gradi. Sette sono anche le cappelle laterali della chiesa costruite intorno alle torri, come sette sono le travi ribassate, disposte a forma di stella,  che costituiscono la struttura di sostegno della sala congressi sotterranea. Sette come i giorni della settimana, sette come i sacramenti.  
L'interno è sobrio e   luminosissimo. Un  corridoio in leggera pendenza porta  verso l’abside e lo sguardo viene inevitabilmente attirato  verso l’immagine dell'Uomo della Sindone, unica decorazione in tutta la chiesa al cui proposito  Botta dirà  ho preso l'immagine in negativo del volto impresso sul lino e l'ho trasformata in pixel.







Le acquasantiere sono due semplici semisfere in marmo bianco inserite  dentro  due colonne in rosso  di Verona,




























i banchi in acero chiaro dalla linea squadrata, come fossero fatti col Lego,  sono  disposti a raggera;












Volumi rigorosi in cui niente appare di troppo e l'unica concessione alla decorazione, se vogliamo chiamarla così, è data dalla scelta di materiali di pregio. 
Durante il giorno la luce naturale  arriva dagli altissimi lucernari in cima alle torri e sulle cappelle laterali mentre  di notte  è la chiesa, illuminata dall'interno, ad irradiare  raggi luminosi grazie ad una miriade di formelle in vetrocemento incassate nelle torri e che, in corrispondenza del'abside, formano una gigantesca croce 







mercoledì 9 ottobre 2013

A proposito di Rachid, di lauree e di quarti d'ora di celebrità

Ho conosciuto Abdul quando, adolescente che non spiccicava una parola di italiano,  vendeva fazzoletti e braccialettini in giro per Torino. 

Devo ancora capire adesso se possedeva il dono dell'ubiquità, il fatto è che dovunque andassi lo incontravo. All'uscita del teatro dopo lo spettacolo, davanti alla Feltrinelli di piazza Castello,  di fronte al cancello del Teatro Regio dopo la prova generale, lui era lì. Immancabilmente. Abbiamo cominciato a chiacchierare un po' alla  volta mentre il suo italiano migliorava a passi da gigante,  e altrettanto un po' alla volta siamo diventati buoni amici. 
Nel frattempo avevo fatto anche  conoscenza con i suoi fratelli:  Sahid,  


(beniamino di  professori e   studenti di palazzo Nuovo, il quale non solo è  perfettamente a suo agio  tra  congiuntivi e consecutio temporum, ma addirittura sa esprimersi  in un  piemontese così impeccabile  che Borghezio se lo sogna), e  Rachid, il più piccolo della famiglia. 


Per questo quando è arrivato il gran giorno sono andata alla discussione della sua tesi 


armata della mia solita macchina fotografica e di  una buona dose di emozione. 




Emozione che, ho potuto constatare, siamo stati in molti a condividere.





Il giorno dopo  tutta Torino parlava di Rachid,  e anche i maggiori quotidiani   hanno dedicato spazio alla sua storia.  Se ne è interessata perfino  la televisione (al minuto 10,40 del notiziario)
Per un nanosecondo sono stata inquadrata anch'io e tanto è bastato perché mi piovesse addosso  una quantità di messaggi,  mail e telefonate  di congratulazioni, manco fossi stata io a laurearmi. Insomma, grazie a Rachid ho avuto anche io il quarto d'ora di celebrità di cui parlava Andy Warhol

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