Che cosa non può assolutissimamente mancare nella Città dell'auto? Un
Museo dell'Automobile , naturalmente
Quello di Torino nasce nel 1932 ed è tra i più antichi Musei dell’Automobile del mondo. Lo aveva ideato e fortissimamente voluto Carlo Biscaretti di Ruffia, un aristocratico torinese figlio di uno dei fondatori della Fiat, che si era battuto per tutta la vita per arrivare alla sua realizzazione, radunare la collezione iniziale, e dargli infine una sede degna. Ne era stato anche il primo Presidente e nel 1959, anno della sua morte, il Museo dell'Automobile viene intitolato a suo nome. La nuova sede si inaugura l'anno dopo, il 3 novembre 1960.
Ho letto da qualche parte che è l’unico Museo Nazionale del genere in Italia, e probabilmente è verissimo, quello che è certo comunque è che dispone di una delle collezioni di auto più rare in assoluto: circa duecento automobili originali dalla metà dell’800 ai giorni nostri, di oltre ottanta marche diverse provenienti un po' da tutto il mondo.
La sede del 1960, progettata dall’architetto Amedeo Albertini in una zona molto suggestiva di Torino sulla sponda sinistra del Po a poca distanza dal
Lingotto è uno dei pochi edifici costruiti appositamente per ospitare una collezione già esistente e costituisce ancora oggi un pregevole esempio della architettura di quegli anni.
Quello che invece era diventato decisamente obsoleto era l'allestimento: una interminabile sfilza di auto in fila, attraenti come un garage di condominio, bisognava proprio avere la fissa dell'automobile per aver voglia di sciropparsele in quella maniera. Nell’estate del 2005 finalmente, il concorso internazionale per il rinnovo del Museo, a cui avevano partecipato una cinquantina di studi di architettura, arriva al traguardo con la vittoria di
Cino Zucchi.
Il progetto,
che risponde alle richieste del bando con un approccio unitario capace di riorganizzare l’edificio esistente e di creare nuovi spazi di relazione con la città, articola il rapporto tra la percezione veloce da corso Unità d’Italia e la definizione di un ambito pedonale più raccolto in corrispondenza del suo innesto su via Richelmy.
detto con parole mie: il corso Unità d'Italia è diventata una via di scorrimento veloce ultra trafficata da cui i pedoni più stanno lontani e meglio è, perciò Zucchi, per non incrementare oltre misura il lavoro del vicino
CTO, individua un nuovo percorso che snodandosi lungo una molto più tranquilla strada laterale,
consente di varcare la soglia dell'ingresso principale mantenendo nel contempo intatta la propria integrità fisica
In sintonia con molti esempi europei contemporanei, le funzioni propriamente espositive saranno integrate da una serie di attività complementari che faranno vivere il Museo dell’Automobile a tutte le ore del giorno e della sera; diventando un elemento trainante del rinnovo urbano del quadrante sud della città,
cioè, sempre detto con parole mie: oltre ai locali dedicati alla esposizione degli oggetti in mostra, l'architetto realizza una serie di nuovi spazi accessori destinati a nuove iniziative e a tutte quelle attività che sono oramai indispensabili perchè un museo non sia soltanto un magazzino ammuffito. Tutto questo, nel rispetto della preesistente architettura di Albertini.
Gli allestimenti interni sono stati affidati allo scenografo franco-svizzero Francois Confino, già artefice alla
Mole Antonelliana dell'allestimento del Museo del Cinema, che adotta come filo conduttore del suo intervento
l’auto osservata come creazione del genio e dell’immaginazione umana
Il nuovo Museo racconta la storia dell’automobile, la sua trasformazione da mezzo di trasporto a oggetto di culto, e attraverso l’evoluzione dell’auto osserva i passaggi epocali della società cercando di ricreare l'atmosfera più adatta per evocare il periodo storico in cui inquadrare le vetture, partendo dal primo pionieristico prototipo, poco più di una macchinina a pedali,
passando per le vetture da corsa più blasonate
al garage (con tanto di officina attrezzata) dei primi 900
Le istanze futuriste del primo decennio del novecento sono sottolineate da una copia del famoso bronzo di Boccioni, il cui originale avevamo scoperto con una certa sorpresa al
MoMa
Su una splendida Isotta Fraschini
è appuntata la patente conseguita nel 1913 dalla signorina Francesca Mancuso di Caronia
mentre sulle pareti campeggiano i volti delle divine del cinema
Alla Ford degli anni della grande depressione fanno da sfondo i poveri in coda per il pane della conosciutissima foto di Margaret Bourke White
e tra una Trabant e l'altra sacchi di sabbia e garitte come se il muro di Berlino fosse dietro l'angolo, e uno schermo su cui scorrono uno dopo l'altro i film di spionaggio degli anni cinquanta. E' tutta una oleografia abbastanza prevedibile ma d'altra parte il museo non pretende di essere niente altro che un divertissement adatto a tutti, mica un trattato di storia
Però la Topolino color sabbia e i parafanghi neri è tale e quale la nostra (almeno prima che mio padre decidesse di verniciarla col pennello)
e la Bianchina cabrio è identica a quella che guidava Audery Hepburn
un attimo prima di far capitolare Peter O'Toole
Le sedie con soprastante casco da pettinatrice sono in realtà delle postazioni video,
e ai bambini piace da morire il giro di giostra attraverso una catena di montaggio che sembra quasi vera
e che si conclude davanti alla macchinetta fatta di migliaia di piccole micromacchinine, come mattoncini Lego