Le note preziose, eleganti, distillate con finezza quasi estenuata dal suo pianoforte sono in assoluto la prima sintesi colto-sentimentale del jazz moderno. Un'epifania struggente. Disarmante nel suo anelito alla bellezza. Come se in lui la dimensione estetica, la musica in generale, e nella fattispecie l'improvvisazione jazzistica, fossero la via maestra alla conoscenza. E alla salvezza. Nessuno così, prima di lui. Molti dopo, sulle sue tracce.
Scrive Ivo Franchi a proposito di Bill Evans
E Paul Motian, grande batterista con cui Evans costituirà il trio considerato ancora oggi il migliore mai esistito sulla faccia della terra:
Ancora prima che si mettesse al piano, avevo capito che ci sapeva fare
Terzo elemento del trio è Scott La Faro, contrabbassista. Venticinquenne, carattere estroverso e un po' smargiasso, sembra lontano anni luce dalla sensibilità ombrosa del pianista, che infatti in qualche dichiarazione lascia trasparire un certo disagio
Amava sperimentare con intensità tutto, tranne la robaccia.
Evans invece con la robaccia di problemi ne ha fin troppi, e ha anche troppi fantasmi con cui fare i conti, la sana vitalità e il talento dell'altro lo portano a fare confronti con il suo dramma personale, e il bilancio non è in pari. Musicalmente però l'iconoclasta sperimentatore a cui non piace guardare indietro e il pianista introverso tormentato e un po' conservatore trovano un'intesa perfetta, uno comincia e l'altro gli va dietro, si capiscono anche senza parlare
Come faceva a sapere che sarei andato proprio là?
Dirà anni dopo Paul Motian
Scott studiava e suonava sempre, e progrediva con enorme rapidità
Tutti e tre insieme rivoluzionano l'equilibrio musicale del trio: non è più un solista accompagnato da una sezione ritmica ma, sempre secondo le parole di Ivo Franchi
parità di idee e funzione paritetica tra gli strumenti, qualcosa di inedito che spiazzò ascoltatori e critici dell'epoca. Tanto che la parola interplay, oggi spesso usata a sproposito, sembra esser stata coniata apposta per descrivere la magia rarefatta, i dialoghi impalpabili, l'intesa telepatica di un gruppo che ha lasciato il segno.
Nella primavera del 1961 il gruppo suona insieme da due anni e sta andando alla grande.
Orrin Keepnews è uno che se ne intende, nella sua carriera ha prodotto tutti i più grandi jazzisti, e capisce che per il trio è arrivato il momento di uscire con una registrazione dal vivo. La tecnologia non è ancora così avanzata e questo rappresenta un rischio, ma Keepnews ama vivere pericolosamente.
Luogo: New York, Village Vanguard cioè, secondo Nat Hentoff
quanto possediamo di più simile ad una mitica reggia del mondo del jazz
Data: 25 giugno 1961, domenica, ultimo giorno di un ingaggio di due settimane.
Il gruppo suona per cinque set, due nel pomeriggio e tre la sera, e incide in tutto tredici pezzi. Qualcuno una volta sola, altri due volte ed un paio addirittura tre.
Alcuni sono suonati in pubblico per la prima volta. In sottofondo si sentono rumori, risate, mormorii.
(Apro una breve parentesi. Ma perchè, per la miseria, c'è sempre qualcuno tra il pubblico che non vuole capire che, dal momento che non gli è stato ordinato dal dottore di andare ad ascoltare dei tizi che suonano ma ha consapevolmente e scientemente deciso in piena autonomia di farlo, dovrebbe starsene zitto e buono a fare ciò per cui ha pagato il biglietto: ASCOLTARE, e smetterla di ragliare le sue stupide barzellette????? Chiusa parentesi)
Loro, comunque, non sentono nulla. Suonano.
Scrive Enrico Pieranunzi nel suo "Bill Evans - ritratto d'artista con pianoforte"
i tre sembrano pervenire tutti insieme nello stesso momento alla maturazione dei rispettivi, diversi talenti. La loro volontà e capacità di entrare ognuno nell'animo musicale dell'altro determina il miracolo. Il concerto avviene in pubblico ma i tre si sentono responsabili esclusivamente verso se stessi e verso la musica. Ciò contribuisce a determinare la densità quasi palpabile, da mozzare il fiato, di quelle registrazioni. I musicisti camminano su un percorso di ricerca onesto, quasi impietosamente puro. Tutta l'attenzione di ciascuno è rivolta al suono, il proprio e quello degli altri due. L'equilibrio, il meccanismo interno al trio è ormai perfetto.
Uscendo dal Village Vanguard dopo questi cinque memorabili set, Scott La Faro è al settimo cielo, finalmente ha fatto un disco di cui è completamente felice, la sua carriera è lanciata e di lì a poco lo aspettano molte altre date. Il 3 luglio ad esempio, suonerà con un altro gigante del calibro di Lee Konitz, a Newport.
Sarà il suo ultimo concerto. Il 5 luglio, tornando dalla casa di amici, la sua auto prende fuoco dopo essersi schiantata contro un albero.
Per Bill lo choc è tremendo e non riesce più a suonare, non soltanto in pubblico ma nemmeno nella solitudine di casa sua, tanto da arrivare a meditare il ritiro dalle scene. Dovrà passare un anno lungo e difficile prima che ritrovi la forza di tornare. E da quel momento avrà un fantasma in più con cui fare i conti.
Per evitare inutili gimcane su e giù per la rete a chi volesse sapere qualcosa in più sull'argomento (e magari scoprire da chi ho copiato per scrivere queste note) :
- A cura di Ivo Franchi "100 dischi ideali per capire il jazz" - Editori Riuniti 2001
- Enrico Pieranunzi "Bill Evans - Ritratto d'artista con pianoforte" - Ed. Stampa Alternativa 2001
- Arrigo Polillo "Jazz" Ed. Saggi Mondadori 1999
- Max Gordon "Dal Vivo Al Vanguard" - Il Saggiatore 1994